La nostra storia comincia con l’invenzione etrusca del ponte e l’amore romano per quel miracolo decisivo, al punto da fare del pontefice massimo il supremo sacerdote. Oggi intorno alla figura del pontefice sembra giocarsi una nuova partita culturale, decisiva per il nostro futuro. Questa parola ci riporta al secondo re di Roma, Numa Pompilio. Lontanissima dalla tardiva scelta imperiale di divinizzare l’imperatore romano, facendone un semidio, la Roma di Numa Pompilio attribuiva al ponte una funzione così importante per la propria stessa esistenza che i pontefici erano incaricati del culto.
I soldati romani divennero capaci di pregare gli dei degli altri popoli, ai quali veniva offerto un tempio a Roma in cambio della vittoria. C’è un tratto di “ponte” nella visione romana della religione estremamente moderno e affascinante. Così non deve sorprendere che oggi intorno al Pontefice si giochi il destino di visioni incompatibili. Ci sono da sempre, nella concezione del rapporto tra potere sacro e potere profano, degli sviluppi che possono causare sommovimenti epocali.
Adesso la crisi della pedofilia, con questo devastante sciame sismico, potrebbe portare a una crisi di fatto del sistema delle guarentigie che è seguito all’epoca del potere temporale della Chiesa? L’epoca del potere temporale è abbastanza nota, come la stagione concordataria. Uno dei più autorevoli storici della Chiesa, Massimo Faggioli, ricostruendo quella pagina ha osservato che la differenza tra mondo libero e mondo comunista stava nel fatto che arrestare i vescovi era una cosa che faceva il secondo, non il primo.
Questa stagione ha avuto il suo momento più alto nel Concilio Vaticano II, che ha costruito una nuova Chiesa, foriera di un mondo nuovo. In effetti abbiamo sottovalutato il cambiamento epocale che questo ha significato: tutto sommato il primo papa che ha rinunciato al Triregno, la Tiara papale formata da tre corone simboleggianti il triplice potere del Papa: padre dei re, rettore del mondo, Vicario di Cristo) con cui veniva incoronato nella Basilica Vaticana il San Pietro bronzeo il 29 giugno, festa del santo, è stato Paolo VI proprio durante i lavori del Concilio Vaticano II.
E il primo papa che ha conseguentemente rinunciato all’uso del trono nella cerimonia di investitura è stato Giovanni Paolo I. Fatti che sembrano di un altro tempo, ma molti recenti. Tutto questo non riguarda solo la Chiesa, riguarda tutti i cristiani e tutti noi, cittadini di un mondo che sente il potere politico e il potere religioso separati. Il panorama odierno però mi sembra mettere in crisi questo equilibrio: non c’è giorno che un cardinale non finisca indagato, inquisito o arrestato. Per colpe il più delle volte indirette e legate al tema degli abusi sessuali.
C’è un fatto “corporativo” indiscutibile in questa crisi. Un ceto inadeguato ha ritenuto di difendere se stesso perché identifica sé stesso con la Chiesa, con l’istituzione. La sola risposta adeguata a questa sfida è quella di Papa Francesco: la Chiesa è di tutti, come indicato dal Concilio Vaticano II, la Chiesa è Chiesa del popolo di Dio, tutto. Ecco che non è più solo un atto di giustizia difendere un bimbo abusato, è anche un atto di difesa della Chiesa.
Per chi concepisce la Chiesa proprietà esclusiva dei religiosi non è così. I guasti causati dal clericalismo ci hanno condotto sin qui e oggi occorre chiedersi quali potrebbero essere le conseguenze di questo se l’arresto o il processo di vescovi o cardinali tracimasse in realtà “meno libere”. Cosa succederebbe? Cosa succederebbe se l’emergenza uscisse dall’Occidente e arrivasse in Paesi di altri orientamenti?
Ecco che l’uso evidente della tragedia della pedofilia diviene una bomba non soltanto nelle mani di chi pensa di usare questa tragedia contro il papa “regnante”. Ma costoro ragionano con il manto rosso. L’idea di costoro, numerosi soprattutto negli Stati Uniti tanto che il giornalista Jordi Picazo ha twittato che Fbi e Cia aiuteranno certamente a eleggere un papa migliore, è un po’ semplicista, perché non guarda al di là del proprio naso e del proprio sogno, un ritorno all’epoca in cui il papa si definiva “primate dell’Occidente”, titolo espunto da Benedetto XVI e che molti oggi a Washington ritengono sinonimo di primate filo-americano. Ma questa visione non tiene conto che nella storia serve un’idea: e questa idea loro non ce l’hanno.
L’idea bannoniana di una federazione dei sovranisti potrebbe essere un’idea anche per risistemare il nuovo corso pontificio: un papa che sposi l’internazionale sovranista e populista. Proprio la recente pubblicazione del libro Sodoma che presenta il caso pedofilia come il prodotto dell’omosessualità nella Chiesa riesce a saldare due pregiudizi diffusi negli opposti populismi: il pregiudizio anticlericale del populismo di sinistra e il pregiudizio omofobo del populismo di destra. Ma Africa, Asia, America Latina? Quello pensato così sembra un papa eletto che parla solo al vecchio Occidente.
No, gli unici che hanno un’idea globale sembrano i russi: più che l’illusione di un papa che sposa l’internazionale sovranista è l’idea di un papa che sposa la prospettiva cesaropapista, qual è buona parte dell’establishment del patriarcato moscovita, l’idea forte, capace di fare del cattolicesimo una “religione civile”. Il primo senso attribuito a questa espressione è quello di “sacralizzazione delle forme e delle istituzioni della politica tipica dei totalitarismi”, il secondo quello di conferma dell’origine “divina e religiosa della democrazia, in particolare quella degli Stati Uniti, intesa come difesa e sviluppo dei diritti naturali conferiti da Dio all’uomo”.
Dunque? Dunque un pontificato “russificato” si baserebbe sul nuovo bipolarismo: da una parte il mondo libero e dall’altra quello di un islam primitivo, discriminatorio, capace di consentire una ideologizzazione della “persecuzione dei cristiani”: usati come quinte colonne dell’Occidente oltrecortina, la loro persecuzione o discriminazione è indispensabile e va presentata come “naturalmente islamica” per tanti motivi, innanzitutto per giustificare lo scontro frontale, nel quale l’islam ha sostituito il comunismo.
Normale che così scompaia la verità storica, ad esempio che il genocidio degli armeni fu opera dei Giovani Turchi, non dell’islam. E’ di lì che devono originare le posizioni più reazionarie per legittimarle anche da noi come reazione, e quando una religiosa siriana dice che “il presidente, il popolo e l’esercito sono la nostra trinità” dà al cesaropapismo e alla nazionalizzazione della fede in prospettiva di religione civile una forza rilevante.
Si capisce così il ruolo cruciale di Papa Francesco nel mondo di oggi e di domani. Se Giovanni Paolo II è stato il papa dell’est che in quanto tale ha saputo dare un contributo decisivo a far terminare il bipolarismo est-ovest, Francesco è il papa del sud che sta combattendo il bipolarismo nord-sud evitando al contempo di ricadere nel vecchio, magari con al centro Pechino. É dunque l’unico argine rimasto contro queste derive. Con lui infatti la Chiesa non sfida la Cina, ma ci dialoga, non sfida l’islam, ma lo restituisce alla sua modernità, quella che gli consentì di vivere insieme agli altri fino alle invasioni dei mongoli.
Così ebraismo, cristianesimo e islam si uniscono nella loro radice mediterranea, cioè del vivere insieme. Di più; Francesco non sfida l’illuminismo, ma lo riporta a vedere che la luce è un valore comune, come comune deve essere l’umanesimo che non sacralizza i mercati mercificando l’uomo: il nuovo umanesimo dunque ha una leadership morale globale che si offre a tutti, rispettandoli. Quello che lo sfida è un mondo che torna all’epoca dei tribalismi, e dei semidei.