Alla fine è finita come doveva finire. Fare o non fare la linea Torino-Lione sarà decisa dalle prossime elezioni. Tutto quello che è avvenuto in questi giorni non è stato altro che melina: messa in campo per guadagnare il tempo necessario per giungere ad un appuntamento, che si presenta come una sorta di giudizio di Dio. Nel frattempo i 5 Stelle avranno evitato possibili spaccature al loro interno tra attivisti No Tav e teorici della real politik di governo. E la Lega fatto emergere tutte le differenze che intercorrono tra chi punta allo sviluppo e chi si accontenta della “decrescita felice”.
Le elezioni europee, comunque vadano, saranno il grande spartiacque. Anche nell’ipotesi in cui i rapporti di forza tra i diversi concorrenti non dovessero subire grandi variazioni. Sarebbe, in questo caso, la dimostrazione che l’Italia non intende cambiare, ma assistere impotente a quel lento bradisismo che la sta portando, giorno dopo giorno, verso un abisso sempre più profondo. Il che rende quest’eventualità piuttosto improbabile. Ed allora?
L’ipotesi su cui scommettere è che, alla fine, la Torino-Lione si farà. Perché non saranno i 5 Stelle a vincere. Forse ridimensionata in qualche opera di contorno ed un costo per l’Italia leggermente inferiore. Un po’ per aver ristabilito una maggiore equilibrio con la Francia. Un po’ per aver ottenuto un maggior contributo europeo: 50 per cento a carico della Commissione ed il resto suddiviso in parti uguali tra i due partner. Andare, invece, oltre quest’ipotesi, fino a configurarne l’abbandono, appare ben più difficile.
Varie le possibili ragioni. L’eventuale decisione di annullamento deve essere un atto complesso. Trovare l’accordo convinto dell’Italia – cosa che al momento non esiste, viste le divergenze che continuano ad esistere tra la Lega e i 5 stelle, quindi della Francia, che tuttavia sembra essere orientata in senso contrario, e poi della stessa Commissione europea. Messa alle strette, quest’ultima potrebbe decidere, come fatto osservare di recente Graziano Delrio, di far “passare il corridoio sopra le Alpi, dalla Svizzera e dall’Austria con grave danno per le imprese italiane”. Un capolavoro: che isolerebbe completamente l’Italia, confinandola definitivamente nella sua insularità.
Una variante a questo schema potrebbe essere determinata da un ritardo eccessivo nel varo delle gare di appalto. Finora la Tunnel Euralpin Lyon Turin (TELT), la società mista franco-italiana che gestisce i lavori, è venuta incontro alle bizze italiane, allungando il brodo delle procedure, con gli “avis de marchés”. Una fase preliminare in cui si chiede ai possibili futuri partecipanti alle gare vere e proprie una preventiva manifestazione di interesse. Che non costa, e quindi non richiede un particolare investimento. Di conseguenza la procedura seguita non impegna nemmeno la controparte che ha messo nero su bianco la possibilità di un successivo ripensamento (la cosiddetta clausola di dissolvenza), escludendo qualsiasi possibilità di richiesta di risarcimento. Due atti preliminari, in definitiva, che si elidono a vicenda.
Essi hanno consentito di abbassare la temperatura politica tra i vari palazzi romani, ma non sono ancora la soluzione del problema. Se il ritardo, a causa del permanere dei contrasti, dovesse permanere, allungando ulteriormente i tempi, il contributo europeo, già deciso, potrebbe essere, su richiesta di altri Paesi interessati, dirottato su altre iniziative. Ed allora non vi sarebbero né vinti né vincitori, ma solo perdenti impenitenti agli occhi dell’intero Paese.
Comunque vadano le cose, c’è poi lo scoglio finale da superare. Il voto del Parlamento. Come ribadito da Giancarlo Giorgetti. Nell’eventualità in cui si dovesse decidere di mandare tutto all’aria, si dovrebbe procedere alla soppressione di quanto previsto dalla legge n.1 del 2017: “Ratifica ed esecuzione dell’Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica francese per l’avvio dei lavori definitivi della sezione transfrontaliera della nuova linea ferroviaria Torino-Lione, fatto a Parigi il 24 febbraio 2015, e del Protocollo addizionale, con Allegato, fatto a Venezia l’8 marzo 2016, con annesso Regolamento dei contratti adottato a Torino il 7 giugno 2016″.
Un titolo, quella della legge, che la dice lunga sullo spessore degli impegni assunti. Considerando, tra l’altro, un periodo di gestazione ancor più lungo: risalente al 2013. Epoca in cui fu varato il regolamento UE n. 1315, che aveva portato alla nascita del Corridoio Mediterraneo. Che oggi Giuseppe Conte considera meno strategico della linea Agrigento-Caltanissetta, secondo quanto riportato dal Fatto quotidiano. A dimostrazione di dove può portare la difesa di un sentimento identitario, ormai totalmente out, rispetto ad un comune sentire. Ma se da esso si può prescindere, enfatizzando il volere di qualche attivista; molto più difficile è pensare che in Parlamento possa funzionare lo stesso schema.