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Il pontificato di Francesco: sei anni spesi a costruire processi

coscienza papa

“Il potere logora chi non ce l’ha”, sosteneva un uomo politico italiano divenuto icona del potere. In realtà, secondo gli storici, il più famoso degli aforismi dell’inossidabile Giulio Andreotti andrebbe attribuito a un uomo del Settecento, il politico e diplomatico francese Charles Maurice de Talleyrand. Un altro personaggio che viveva di potere e per il potere. Ebbene, questo famoso aforisma è ampiamente contraddetto dalla parabola di Jorge Mario Bergoglio, salito sul trono di Pietro con il nome di Francesco e Papa tutt’altro che regnante. Ma più per scelta che per costrizione. E anche a costo di farsi logorare da un potere non cercato e non esercitato.

Giusto sei anni fa, il 13 marzo del 2013, l’uomo “preso alla fine del mondo” veniva scelto dai cardinali riuniti in conclave come il 266esimo papa della Chiesa cattolica e vescovo di Roma. Una scelta preceduta e in buona misura causata dalle traumatiche dimissioni di Benedetto XVI che sconvolsero non solo il popolo credente ma segnarono una formidabile cesura con un’opinione pubblica internazionale sempre più diffidente nei confronti dell’istituzione papato. Già allora scosso dallo scandalo della pedofilia, ma soprattutto segnato da una sorta di indecisionismo che restituiva l’immagine di un papato debole e sotto ricatto.

Proviamo a decifrare questi sei anni di pontificato di Francesco. La più importante chiave interpretativa va ricercata in uno dei quattro cardini della Esortazione apostolica Evangelii gaudium: “Il tempo è superiore allo spazio”. Gli altri tre principi sono: “L’unità prevale sul conflitto, la realtà è più importante dell’idea, il tutto è superiore alla parte”.

L’affermazione che “il tempo è superiore allo spazio” si è tradotta, nelle intenzioni di Bergoglio, nella necessità di avviare “processi” e di non curarsi dell’ansia di occupare spazi di potere. Illuminanti a questo riguardo le sue parole: “Questo principio permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati… Dare priorità allo spazio porta a diventar matti per risolvere tutto nel momento presente, per tentare di prendere possesso di tutti gli spazi di potere e di autoaffermazione. Significa cristallizzare i processi e pretendere di fermarli. Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici”.

Se rileggiamo, dunque, questi sei anni di pontificato, ritroviamo un’assoluta coerenza di Papa Francesco nell’attivazione di processi, senza curarsi di occupare spazi di potere. Anzi, abbiamo visto un suo costante ritrarsi dalla frontiera delle coscienze individuali, primo e più strategico spazio di potere della religione sulla vita di ogni essere umano. In quest’ottica va oggi rivisitato quel suo famoso “chi sono io per giudicare?” che è diventato un autentico leit motiv della logica comportamentale non solo dei credenti, ma anche di larga parte dell’opinione pubblica.

Proviamo a mettere in fila, sia pure per approssimazione, i processi avviati da Papa Francesco. Processi, lo ribadiamo, che non hanno come scopo l’occupazione di spazi di potere, ma l’attivazione di un dinamismo i cui frutti saranno altri a raccogliere. Primo fra tutti, va segnalato il dialogo ecumenico e quello interreligioso. Un percorso che ha registrato molte tappe significative, l’ultima delle quali tanto clamorosa quanto sottovalutata: la celebrazione dell’eucaristia nello stadio di Abu Dhabi, con la Croce innalzata davanti a 135mila fedeli cattolici di circa 200 diverse nazionalità e circa 4mila musulmani. Il tutto senza che i fedeli accorsi alla messa venissero schedati o perseguitati, come è accaduto in passato. Un fatto storico senza precedenti in un Paese musulmano come gli Emirati arabi e che al di là della sua eccezionalità, segna plasticamente l’avvio di un processo.

Altrettanto si può dire dell’accordo raggiunto con la Chiesa patriottica cinese e con il governo di Pechino per la nomina concordata dei vescovi. Un passo straordinario in vista della piena comunione dell’intera Chiesa cattolica cinese con Roma. Di sicuro, l’avvio di un processo del quale non possiamo assolutamente prevedere gli esiti.
Sempre nell’ottica del processo vanno interpretati e riletti i due Sinodi che Papa Francesco ha voluto e che hanno avuto al centro la famiglia e i giovani. In particolare nel primo, sfociato nella Esortazione apostolica Amoris letitia, vi è stato un cambio di passo con l’ascolto del mondo cattolico universale. Un’autentica apertura, peraltro sotto gli occhi di un’opinione pubblica a volte esterrefatta, al dialogo senza veli. Con posizioni avanzatissime in campo morale e un generale tentativo di dare soluzione, attraverso nuovi meccanismi pastorali, alla domanda di riconciliazione con la Chiesa dei coniugi credenti, separati e divorziati. E in particolare alla loro richiesta di tornare ad accostarsi all’eucaristia. Processo avviato e del quale ancora non conosciamo gli esiti pastorali.

Altro processo in atto è quello riguardante lo scandalo degli scandali: la pedofilia nella Chiesa. Quello che qualcuno ha definito, con un’immagine sconvolgente, “l’11 settembre della Chiesa cattolica”. Un’autentica bomba ad orologeria che già martellava il pontificato di Benedetto XVI e che ha raggiunto vette pericolosissime con Francesco. Le sue scuse, pur accorate e sentite, non hanno tranquillizzato il mondo. Lo stesso vertice voluto dal Papa con i presidenti di tutte le conferenze episcopali non ha ancora guadagnato la totale fiducia dell’opinione pubblica internazionale. C’è una sete di giustizia non ancora soddisfatta che forse angustia lo stesso Francesco. L’atteggiamento prevalente sembra essere quello dell’attesa di un suo gesto perentorio in grado di tracciare l’avvio di un processo senza ritorno, nel quale la tolleranza zero e la cura dei “feriti” siano definitive.

Altri processi avviati, ma dei quali non si riescono a intravvedere i risultati, sono quelli legati alle riforme interne della curia romana. E due in particolare: la riforma economica e quella della comunicazione. In entrambi questi campi il Papa è dovuto intervenire più volte per reindirizzare le scelte, cambiare gli uomini da lui stesso individuati, affinare le strategie. L’idea che prevale è quella di un eterno cantiere aperto.

In conclusione, il Papa dei “processi” sta coerentemente procedendo sulla sua strada, accompagnato dagli uomini di Curia e dai vescovi che in Italia e nel mondo ne condividono la strategia. Ma l’esercizio del potere che è purtroppo pratica quotidiana e impegnativa non è nelle sue corde. E il potere, che spesso vive di vita propria e a prescindere dalla volontà di chi lo detiene, finisce così per logorarlo. Ma forse lui non se ne duole affatto: non è forse Francesco il Papa del tempo e non dello spazio? Anche in questa ottica va letto il suo sogno di “una Chiesa povera per i poveri”. Del resto, 2191 giorni di pontificato sono una goccia nel mare infinito del tempo.



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