La discussione sulla posizione dell’Italia circa lo sviluppo della nuova rete 5G e i contorni dell’intesa con Huawei sono giunti al Copasir, che ha ascoltato oggi per quasi due ore Giuseppe Conte per acquisire nuovi elementi sul delicato dossier (qui le foto).
Dopo il ‘warning’ americano (e in concomitanza con i dubbi che la questione telco – nonostante le smentite del Mise – possa rientrare in qualche modo nel memorandum d’intesa sulla Belt and Road Initiative che l’Italia si appresta a firmare con la Cina, come lascerebbe intendere una bozza del documento circolata in queste ore), l’organismo presieduto da Lorenzo Guerini ha approfondito l’argomento col governo in quella che è una prima audizione alla quale seguirà, nel giro di poche settimane, quella di titolare della pratica, il vice presidente del Consiglio e ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio.
“L’audizione odierna”, ha commentato il presidente Guerini, “si inserisce nel quadro di grande attenzione che il Comitato sta riservando al tema. Abbiamo rappresentato al presidente del consiglio le valutazione su possibili rischi ricevendo dal presidente Conte l’insieme degli interventi sui quali il governo sta lavorando. Certamente – ha aggiunto – la questione merita ulteriori approfondimenti che sarà cura del Comitato proseguire nelle prossime settimane, anche in relazione con l’indagine conoscitiva sulla cyber sicurezza che il Copasir sta sviluppando”.
LA POSIZIONE DI CONTE
Da detentore della delega all’intelligence, come ha tenuto egli stesso a ricordare, Conte, intervenendo al recente Festival di Limes, ha detto che “Huawei e Zte operano già da anni anche in Italia” e “sono integrate con i nostri operatori del settore delle info-telecomunicazioni”. Poi però ha ammesso: “Posso dire che esiste un problema di sicurezza informatica, esiste senz’altro”, rimarcando che “Zte è una società di Stato, Huawei non è propriamente statale ma bisogna tenere conto delle peculiarità di quel contesto”. Pertanto, ha aggiunto “dobbiamo adottare tutte le cautele e stiamo lavorando in questa direzione”.
L’ORIENTAMENTO DI ROMA
Parole che, unite al comunicato di ieri del Mise che vi faceva un generico cenno, lasciano intendere che potrebbe essere il nuovo Centro di valutazione e certificazione nazionale (Cvcn) istituito presso l’Iscti del Mise il luogo dove la sicurezza delle tecnologie delle aziende cinesi potrebbe essere concretamente testata prima di arrivare a una decisione definitiva.
In tal caso l’esecutivo opterebbe per una soluzione che non fermi del tutto le attività delle telco del Paese del Dragone sul 5G (una scelta sulla quale sembrano invece convergere le nazioni che fanno parte della stretta alleanza anglofona di intelligence sharing dei Five Eyes), ma piuttosto a un orientamento simile a quello adottato da altri stati europei come Francia, Germania e Regno Unito, che intendono dare il via libera alle apparecchiature di Huawei solo dopo un severo controllo tecnico.
Più complessa, invece, la gestione del caso Bri (ancor di più se dovesse essere estesa anche al capitolo telecomunicazioni). Su questo punto, parlando ai cronisti durante la sua visita odierna in Sicilia, Conte ha voluto ancora una volta sottolineare che l’Italia è “un Paese inserito nell’Unione europea” e “collocato in un’alleanza tradizionale, euroatlantica”, nella quale Roma rimarrà collocata anche con l’adesione al progetto della Nuova Via della Seta. “Semplicemente”, ha aggiunto, “ci apriamo una strada molto interessante dal punto di vista commerciale. Quello che andiamo a sottoscrivere non è un accordo vincolante ma un quadro che ci consentirà poi all’interno di quel quadro di valutare le opportunità che si offriranno”.
Una posizione che, si è evidenziato in modo ufficiale e molto netto oltreoceano, non tiene conto del fatto che la firma del memorandum d’intesa sulla Bri non sarebbe (come nel caso del 5G) un mero fatto economico, ma costituirebbe un avallo politico – per di più da parte di un importante economia che siede nel G7 – dei piani espansionistici di Pechino che sono alla base delle tensioni globali tra la Repubblica Popolare e gli Stati Uniti.
I DOSSIER ITALIA-CINA
Entrambi i temi – ha raccontato nei giorni scorsi Formiche.net – sono, con sfumature diverse, da tempo all’attenzione dei servizi segreti, che dei rischi connessi alla pervasività dell’elemento tecnologico e dei risvolti del progetto infrastrutturale e politico per collegare Pechino all’Eurasia hanno parlato anche nell’ultima relazione del Dis al Parlamento, presentata a fine febbraio dai vertici del dipartimento alla presenza dello stesso Conte. Tutti i suggerimenti, negli anni, non sembrano però aver trovato ascolto dagli esecutivi che si sono succeduti e lo stesso pare accadere oggi, anche se su questi temi ci sono sostanziali differenze tra i due ‘azionisti’ di maggioranza dell’esecutivo, Movimento 5 Stelle e Lega.
LE DIVISIONI NEL GOVERNO
Un mese fa il Mise ha smentito l’intenzione di precludere alle aziende cinesi lo sviluppo della nuova tecnologia 5G in Italia avvalendosi del golden power. La Lega, invece, ha prima presentato in Commissione Trasporti attraverso il suo deputato Massimiliano Capitanio un’interrogazione al ministro Di Maio su WiFi-Italia, un altro progetto di connettività che vede coinvolta Huawei. Sempre il Carroccio, attraverso il suo sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi, ha spiegato che “è necessaria una profonda riflessione sulla sicurezza delle nostre infrastrutture critiche”. Mentre il leader della Lega, Matteo Salvini, ha evidenziato che ci si trova di fronte a “un tema di sicurezza e interesse nazionale, quindi il discorso delle telecomunicazioni e del trattamento dei dati sensibili non può essere solo meramente economico. Facciamo parte di un’alleanza che – ha avvertito il vice presidente del Consiglio – prevede che la difesa dei dati sensibili e che la sicurezza singoli prevalga sull’interesse economico”.
IL DIBATTITO INTERNAZIONALE
Nel frattempo cresce il dibattito internazionale sul dossier, anche nel Vecchio continente. Gli Usa hanno più volte lanciato moniti ai loro alleati su questo dossier, l’ultimo dei quali giunto dal segretario di Stato Mike Pompeo, che in una intervista ha ribadito che Washington potrebbe non condividere più informazioni con gli Stati (soprattutto quelli che ospitano basi Nato, come l’Italia) che adotteranno tecnologia della compagnia di Shenzhen per l’implementazione della loro rete 5G. Il generale Curtis Scaparrotti, guida dello US European Command ma soprattutto Comandante supremo della Nato, sentito dalla Commissione Forze armate del Senato, ha poi spiegato che i Paesi dell’Alleanza Atlantica che non terranno fuori la Cina dal 5G potranno rischiare di perdere la possibilità di integrare le proprie forze armate con quelle americane.
Come risposta a questi allarmi, oggi il Parlamento europeo ha espresso, in una risoluzione presentata e approvata oggi in plenaria, “profonda preoccupazione” sui rischi per la sicurezza informatica derivanti dalle reti 5G sviluppate da società cinesi e ha lanciato un monito agli Stati membri affinché ci sia “una risposta coordinata dell’Ue”.
Parallelamente si è svolta una riunione dei commissari Ue tesa a varare una comunicazione di Berlaymont circa la strategia nelle relazioni Ue-Cina, un contributo alla discussione che avranno i capi di Stato e di governo al vertice di questo mese. “Investimenti esteri in settori strategici possono porre rischi alla sicurezza dell’Ue” e questo, si evidenzia, “è particolarmente rilevante per infrastrutture critiche come il 5G”. Nel testo non viene citato il caso dell’Italia e del memorandum di intesa che si appresta a firmare con Pechino, tuttavia viene indicato che “la Ue userà i legami tra le diverse aree e settori per esercitare maggiore pressione: sia la Ue che gli Stati membri”, si precisa, “possono raggiungere i loro obiettivi rispetto alla Cina solo nella piena unità”.