La Via della Seta è affare serio, serissimo, ma non per questo va presa e cestinata. Anzi, con le dovute precauzioni può essere anche un’opportunità. E poi ci si potrebbe anche fidare una volta tanto del proprio governo. Le imprese italiane hanno preso molto seriamente la questione della partecipazione italiana alla Belt and Road Initiative (Bri), il piano infrastrutturale terrestre e marittimo della Cina di Xi Jinping (qui l’intervista di ieri al capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari). In Confindustria sono convinti che con le dovute precauzioni un’apertura al Dragone sia possibile, forse doverosa visto che l’economia italiana alle porte della recessione è ancora a trazione export. Marcella Panucci, che dell’associazione delle imprese è direttore generale, ha accettato di spiegare a Formiche.net perché dire di sì a Pechino non è una follia. Con tutte le accortezze del caso e senza strappi con gli Usa, che sono e restano nostri alleati, il gioco può riuscire.
Panucci, gli Stati Uniti ci hanno messo in guardia circa i rischi di un’apertura dell’Italia ai capitali cinesi. Ha ragione Washington?
La preoccupazione degli Stati Uniti ci sembra riguardi in via prioritaria il possibile accordo sulla tecnologia 5G. Ma il governo, con il ministro Luigi Di Maio, ha opportunamente smentito che tra i capitoli del Memorandum ci siano quelli telefonia mobile e, più in generale, delle telecomunicazioni. Ma è chiaro che gli Stati Uniti, che in questa fase hanno un confronto piuttosto duro con la Cina, si preoccupino di eventuali aperture ingiustificate da parte di altri Paesi. Noi però confidiamo che il governo ne sia consapevole e abbia ben presente gli aspetti di sicurezza nazionale su cui bisogna essere estremamente attenti.
Insomma, possiamo fidarci…
A patto che il tutto sia gestito con grande attenzione a tutti gli aspetti che caratterizzano questa complessa fase delle relazioni internazionali.
L’Italia è un Paese che non cresce e fatica a collocare il proprio debito sovrano sul mercato. Dunque, ha necessità di attrarre investimenti esteri e al contempo di esportare. Eppure, la Via della Seta potrebbe rivelarsi nel tempo qualcosa di controproducente perché metterebbe nelle mani della Cina alcune nostre infrastrutture strategiche. Il gioco vale la candela?
La Via della Seta, come la intendiamo noi, dovrà servire soprattutto a portare in Cina i prodotti italiani per equilibrare i flussi commerciali che oggi sono a noi sfavorevoli. Si tratta di una grande infrastruttura che l’Italia, ma anche l’Europa, dovranno utilizzare per connettersi al gigante economico asiatico e favorire intese commerciali mutualmente vantaggiose. E poi…
Poi?
Un altro obiettivo importante è quello di aumentare le forniture delle imprese italiane nei Paesi terzi attraversati dalla Bri. Tutto ciò, chiaramente, nell’interesse nazionale e nel pieno rispetto della politica commerciale della Ue. È chiaro infatti che un’iniziativa del genere non potrà avvenire senza coinvolgere nella decisione l’Unione europea e i nostri principali partner.
Non dobbiamo tuttavia dimenticarci che la Cina si è spesso rivelata ghiotta di know how italiano. Per le imprese cosa significa?
L’Italia ha una buona disciplina del Golden power (la norma che consente allo Stato di bloccare scalate ostili da parte di istituzioni estere, ndr) che però va attuata con riferimento alla individuazione degli asset strategici. In aggiunta serve uno strumento europeo. Ci auguriamo pertanto che il nostro governo contribuisca costruttivamente alla definizione del regolamento Ue sullo screen degli investimenti diretti esteri.
Confindustria non teme un avvicinamento a Pechino… Sbaglio?
Le imprese italiane hanno un’alta vocazione all’export e dunque non possono che vedere con favore l’allargamento dei mercati di sbocco ben sapendo che occorre fissare regole ben precise allo scambio impegnando il nostro interlocutore al rispetto dei principi della libera e corretta concorrenza. Ciò che è anzitutto necessario per aumentare la nostra presenza sul mercato cinese è infatti una sua maggiore apertura, sia in termini di abbattimento tariffario, che di riduzione dei vincoli a cui sono sottoposti gli investimenti esteri nel paese, nonchè di rispetto della proprietà intellettuale. Diverse cose sono state state fatte dalla Cina negli ultimi anni, ma resta ancora molto da fare per completare il processo di liberalizzazione affinché essa divenga un mercato realmente accessibile.
Panucci tiriamo le somme. Quali vantaggi economici potrebbe produrre per l’Italia la creazione della Belt and Road cinese?
Lo abbiamo detto. Vantaggi potranno esserci se saremo capaci di usare la Via della Seta nella doppia direzione: non solo dalla Cina verso l’Italia ma anche e soprattutto dall’Italia verso la Cina. Al riguardo, non basterà evidentemente un MoU bilaterale: sarà necessaria una strategia di promozione accurata e condivisa con il sistema delle imprese, perché sono loro gli attori che operano sul mercato e che possono fornire le indicazioni migliori. Il MoU deve favorire le produzioni italiane soprattutto in termini di sveltimento dei traffici attraverso i Paesi che ci collegano alla Cina.
Avallare il progetto di Pechino, dopo i numerosi warning arrivati da Washington, non rischia però di pregiudicare gli investimenti statunitensi oppure causare una flessione della nostra bilancia commerciale con gli Usa?
Si tratta di un pericolo che si allontana sempre di più mentre si definiscono i contorni dell’intesa. Per noi dev’essere chiaro che la firma del Memorandum con i cinesi non deve essere intesa come una preferenza o peggio uno sgarbo agli amici americani, che restano i nostri principali partner strategici. Le relazioni transatlantiche sono da sempre la priorità assoluta per Confindustria. Vuole un esempio?
Prego…
Siamo stati strenui sostenitori del Ttip (Trattato transataltico per il commercio e gli investimenti, ndr) e abbiamo già informato il governo che siamo assolutamente a favore dell’atteibuzione alla Commissione Ue edel mandato a negoziare un nuovo accordo commerciale con gli Usa. in questo senso, ci aspettiamo che il governo italiano non fara’ mancare il proprio consenso all’avvio rapido delle trattative.
Torniamo a casa nostra. Il governo sembra diviso sulla questione cinese, ma soprattutto non c’è ancora un documento ufficiale che illustri cosa prevedano gli accordi con il governo di Pechino. Ormai mancano pochi giorni all’arrivo del presidente Xi Jinping in Italia. Come Confindustria siete stati coinvolti e interessati a questo dossier da parte dei ministeri preposti?
Ne stiamo prendendo visione con ritardo ed in altre occasioni abbiamo avuto un grado di condivisione maggiore e più tempestivo. Ci auguriamo che vi sia modo di collaborare per migliorare la sua definizione nell’interesse delle imprese italiane e quindi del paese, che sono gli unici obiettivi che perseguiamo.