Non è ancora tempo di dire ancora il classico le jeux sont faits, ma poco ci manca. Di sicuro si stringe sempre di più il cerchio intorno a Vivendi. L’azionista francese di Tim (24%), che quasi un anno fa si è visto ribaltare i suoi piani per l’ex Telecom dopo la conquista del cda da parte del fondo americano Elliott (a sua volta sostenuto da altri fondi, come il Canada pension plan investment board) è sempre più alle corde. La sua richiesta di sostituire cinque consiglieri del board guidato dal Luigi Gubitosi (qui l’articolo di ieri di Formiche.net) è ormai prossima all’essere definitivamente cassata dall’assemblea che si riunirà il prossimo 29 marzo. Per Vincent Bollorè, patron di Vivendi, si profila il secondo ko in dieci mesi.
In questi giorni di vigilia, un ruolo importante lo stanno giocando gli advisor finanziari, i quali stanno consigliando gli azionisti di Tim in vista dell’assemblea. Sono valutazioni che hanno un impatto dal momento che tecnicamente spiegano perché è giusto votare per un progetto piuttosto che per un altro. In questo caso la riconferma del board a trazione Elliott oppure la sostituzione di cinque membri, come vorrebbe invece Vivendi. Dopo che ieri l’advisor Iss si è apertamente schierato contro i piani dei francesi, oggi è il turno di un’altra istituzione finanziaria, Proxy. La quale ha sposato la linea Elliott.
“Nonostante le preoccupazioni per presunte asimmetrie informative all’interno del consiglio, a causa di riunioni separate tenute dagli amministratori nominati da Elliott, e dalla mancanza di una rigorosa indipendenza di tali amministratori”, si legge nella raccomandazione, “siamo ancora più preoccupati per la possibilità che Vivendi riassuma il controllo del consiglio di amministrazione”. Il senso è chiaro. L’attuale board peccherà anche di scarsa indipendenza (troppo legato a Elliott) ma è sempre meglio di un ritorno di un cda espressione di Vivendi, che quasi certamente finirebbe col bloccare il progetto di societarizzazione della rete, in collaborazione con Open Fiber.
Frontis fa notare la necessità di opporsi alla nomina di 5 nuovi consiglieri tra cui Franco Bernabè e Gabriele Galateri e questo perché “un ex amministratore delegato e un ex presidente di Telecom Italia (Bernabè, ndr), non può essere considerato completamente libero da responsabilità per le cattive performance della società negli ultimi anni”. Un altro affondo è sulle remunerazioni del board. “Deploriamo con forza che il consiglio non abbia proposto alcuna modifica alla politica approvata nel 2018, nonostante l’altissima opposizione degli azionisti di minoranza”, cioè Elliott.
A questo punto è tempo di farsi due conti. Dopo il pronunciamento negativo di Iss e Frontis alla mozione Vivendi per il ricambio in cda e con sia Cassa Depositi e Prestiti sia Elliott ormai a ridosso, entrambi, del 10% del capitale, il blocco anti Vivendi vale almeno il 20%, al netto degli altri fondi che potrebbero accodarsi. La distribuzione dei voti tra i maggiori azionisti appare dunque molto più bilanciata rispetto all’assemblea di aprile 2018 che vedeva Cdp più Elliott al 13% e Vivendi al 23,9%. Senza contare che anche il socio Canada Pension Plan (3,133%) potrebbe schierarsi con Elliott e Cdp contro la revoca presentata da Vivendi . Con queste premesse e in attesa del parere di un altro proxy advisor, Glass Lewis, è probabile che l’attuale cda possa essere riconfermato con il voto del 29 marzo. Ed Elliott avrà vinto, ancora.