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Cosa sta accadendo in Libia e perché l’Italia non può restare a guardare

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Nelle prossime ore è previsto un incontro tra il rappresentante speciale dell’Onu in Libia Ghassan Salamé e il Generale Haftar. Il Feldmaresciallo della Cirenaica ha ormai conquistato, oltre alla zona orientale del Paese, anche la zona meridionale: le sue truppe hanno possesso del Fezzan e adesso sono sempre più vicine anche a Misurata e, in previsione, molto presto avrebbero la capacità di entrare persino a Tripoli. Il presidente del governo di unità nazionale, l’esecutivo riconosciuto dalle Nazioni Unite, è sempre più debole, l’unico scudo rimasto per Serraj è proprio l’appoggio formale dell’Onu, oltre alle ottime relazioni costruite in questi anni con l’Italia.

Salamé, nel suo incontro con Haftar, proverà probabilmente ad avere rassicurazioni dal Feldmaresciallo sulle intenzioni di prendere il controllo dell’intero territorio libico. O, forse, concordare una via d’uscita per evitare lo scoppio di una deflagrante guerra civile tra le varie fazioni libiche e condividere con il Feldmaresciallo una presa del potere “morbida” da parte del Generale.

Salamé, nella sua missione, dovrebbe avere formalmente l’appoggio della comunità internazionale e dei vari Paesi che nell’ultimo mese, tramite le rispettive ambasciate, hanno provato a dimostrare – almeno attraverso dichiarazioni congiunte – un’unità sul dossier libico che nei fatti non esiste. La Francia ha offerto copertura aerea per l’offensiva di Haftar nel sud del Paese, mentre Russia ed Egitto continuano a sostenere l’avanzata del Generale della Cirenaica.

A parole le diplomazie che hanno influenze in Libia mostrano unità, ma concretamente ognuno persegue i propri obiettivi particolari. Complessa la situazione per l’Italia che negli ultimi tre anni ha creato ottime relazioni con Tripoli, ma pur ricercando un’impossibile equidistanza, i rapporti restano difficili con le fazioni che sostengono Haftar come è stato ampiamente dimostrato alla Conferenza di Palermo dove il Generale non ha partecipato ai lavori. Gli accordi sottoscritti con Serraj sono dovuti principalmente al flusso di migranti verso le nostre coste che il governo tripolino, con successo, ha contenuto. Inoltre è nella zona occidentale del Paese che le aziende italiane conservano gran parte dei propri interessi commerciali. Alla lunga, però, salvaguardare lo status quo nella Tripolitania, senza costruire relazioni più solide con Haftar si è forse rivelata una strategia miope. Una difficoltà di rapporti con il Generale, in realtà, neppure voluta, ma dettata più che altro dalle influenze sul Feldmaresciallo di Francia e Russia a cui l’Italia non ha saputo offrire un’opposizione.
Quali carte avrà nel proprio mazzo Salamé per convincere Haftar a desistere dal suo progetto egemonico sul Paese libico resta complesso comprenderlo dal momento che ai tanti governi occidentali che sostengono il Generale fa comodo avere l’uomo solo al comando nelle proprie mani.

Nel frattempo a Tripoli sono scese in piazza centinaia di persone per manifestare proprio contro Salamé: l’accusa è l’eccessivo appiattimento verso Haftar anche da parte delle Nazioni Unite. Ciò che Serraj non è riuscito a costruire militarmente, salvaguardando le porzioni di territorio che fino a pochi mesi fa aveva sotto il proprio controllo, prova ora a farlo mettendo pressione alla comunità internazionale attraverso piccole sollevazioni popolari delle poche milizie che ancora sostengono il suo esecutivo. Del resto Haftar è consapevole che se pure è attualmente predominante dal punto di vista militare, non è sicuro di poterlo essere sul fronte elettorale qualora realmente si avviasse quell’indefinito quanto interminabile percorso che porterebbe alle elezioni nazionali. Ecco perché il Feldmaresciallo sta tentando prima di costruire il suo consenso attraverso le azioni militari per poi, eventualmente, affondare il colpo per chiedere le elezioni con maggiori possibilità di vittoria.

Non resta che attendere gli esiti dell’incontro tra Salamé e Haftar. Difficile comprendere quali piani abbia invece il governo italiano per gestire le frequenti evoluzioni in corso in Libia. Soprattutto, l’esecutivo gialloverde, si è mosso in maniera troppo disinvolta sul fronte delle relazioni internazionali in questi mesi. La crisi con la Francia (che controlla Haftar in quota-parte) per il caso dell’incontro tra Di Maio e il leader dei gilet gialli di certo non ha agevolato. Come non aiuta la questione “Via della Seta” e l’apertura alla Cina in un momento in cui, probabilmente, forse solo gli Usa potrebbero giocare di sponda con l’Italia per i nostri interessi nazionali in Libia. Una confusione sulle alleanze in chiave geopolitica che rischia di deflagrare nel Nord Africa prima che altrove.

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