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Macron è più forte. Il ceto medio rinnega i gilets jaunes

repubblicano macron

Vi posso assicurare che ai francesi non importa un fico secco di dove si trovasse Emmanuel Macron mentre i gilets jaunes mettevano a ferro e fuoco Parigi. Stava sciando, è stato rivelato, ma è pure rientrato immediatamente all’Eliseo. Neppure lui immaginava che, come ha ammesso il suo governo, il sistema di sicurezza non avrebbe funzionato alla perfezione. Ma questo è un dettaglio, buono per polemiche da bar sport.

Il problema è che i rivoltosi, dopo diciotto settimane, quasi quattro mesi e mezzo, diminuiscono numericamente, ma mostrano una sempre maggiore aggressività del tutto ingiustificata. Perfino coloro che li hanno avuti in simpatia all’esordio sulla scena politica e sociale, da tempo hanno preso le distanze. Il ceto medio che intendevano rappresentare non si riconosce minimamente nelle caricaturali, ma quanto pericolose, figure di giacobini d’antan che minacciano la presa del potere, ed al massimo si prendono qualche edicola per farne lugubri falò. Nel frattempo, tra una vigliacca aggressione e l’altra, non sono riusciti ad elaborare uno straccio di programma comune. E men che meno trovare le coordinate per dare vita ad un’organizzazione in grado di qualificarsi politicamente.

“È un movimento egoista”, mi dice l’autista del taxi fortunosamente agguantato mentre infuria la tempesta poco lontano. Arrivato all’aeroporto mi sollecita a non dare credito a quanto si sente dire in giro da chi non è informato e non ha visto da vicino le gesta dei casseur . All’inizio sembrava un’altra cosa, aggiunge. Poi “infiltrati di estrema sinistra, che nulla hanno a che fare con France Insoumise di Mélenchon e pochi cani sciolti di estrema destra che contestano l’imborghesimento presunto di Marine Le Pen, hanno profittato della debolezza organizzativa dei gilets jaunes per assumerne sostanzialmente il comando”. I tassisti, come gli edicolanti, sono i migliori politologi che frequento a Parigi. Conoscono la realtà e parlano con tutti. Si formano un’opinione che, guarda caso, vedo poi riflessa nei pensosi commenti degli autorevoli giornali e perfino nei saggi che monopolizzano i banchi delle librerie.

Dei contadini, pensionati, impiegati, disoccupati che agli inizi di novembre riempivano le piazze francesi contro il “presidente dei ricchi” che, suo malgrado, non aveva compreso la profondità della crisi francese, non c’è più traccia nelle file del movimento. E come potrebbe esservi. Ve li immaginate padri e madri di famiglia, chiamati a raccolta dal web, mischiarsi con orde di delinquenti dediti a scardinare bancomat, saccheggiare negozi, distruggere ristoranti come Fouquet’s, fare degli Champs Elysée un campo di battaglia, costringere gli esercenti ad abbassare le saracinesche tutti i sabati, tanto si sa che ormai è diventato un appuntamento terrorizzante il fine settimana, una sorta di happy hours dell’orrore? Dei gilets jaunes non è rimasto più niente.

I black bloc scatenano l’inferno, mentre le forze di polizia e di intelligence dimostrano un’imbarazzante incapacità a prevenire i loro atti vandalici. E l’altra Francia, quella che probabilmente è rimasta frastornata dal cambiamento di passo e dalla sostituzione antropologica dei protestatari della prima ora che rivendicavano ragionevolmente un po’ di equità e maggiore sicurezza, neppure si chiede più per chi votare nel 2022. Di fronte a partiti politici di destra e di sinistra che non hanno saputo interpretare il fenomeno, che opportunamente non se ne sono appropriate, pur dimostrando una totale timidezza nel comprendere le ragioni del disagio, paradossalmente non resta che Macron.

Massì, che scii pure in compagnia della moglie sui Pirenei – un week end di relax non si nega a nessuno – ma sono più infinitamente più insopportabili coloro che minacciano la libertà di tutti in nome del loro egoismo e dell’imbecillità che sono i capisaldi del programma (si fa per dire) che finora hanno dispiegato.

Beninteso, resta ancora accesa la fiammella dei gilets jaunes della prima ora: probabilmente diventerà una lista per le europee, mentre altri cercheranno di sistemarsi in una qualche formazione tradizionale. Ma l’insurrezionalismo dei disperati vale meno di una baguette per quel ceto meno, prevalente in Francia, che aveva bocciato Macron ed ora, sia pure a malincuore, spera in provvedimenti politici e di polizia che facciano terminare l’orrenda pochade alla quale nessuno può abituarsi. Oltretutto quando i risultati sono opposti a quelli sperati.

Macron è risalito nei consensi. È ben più su della Le Pen. Il suo movimento En Marche! ha ripreso vigore dopo aver attraversato la palude dell’indifferenza. I problemi restano tutti sul tappeto come nel novembre scorso. Ma all’Eliseo si respira un’aria diversa. E nei bistrot qualcuno sostiene, tutt’altro che sottovoce, che a Macron, al “presidente dei ricchi” non c’è alternativa. Se è davvero così lo dirà il tempo. E tre anni sono lunghi da passare.

In Francia, come altrove, si guarda alle elezioni europee. I cosiddetti “sovranisti” coltivano illusioni appaganti per loro, come la gauche che non sa più chi e che cosa interpretare. Abbiamo la sensazione che nulla di “epocale” scuoterà la politica francese. A meno che la crisi economica non morderà ancora di più le famiglie, le piccole aziende, gli agricoltori, la disoccupazione non si farà sentire più forte e le complicazioni dell’immigrazione non accentueranno intolleranze e diffidenze. Allora può accadere qualcosa di completamente diverso e perfino politicamente devastante, ma non violento. E su questo sono d’accordo tutti. Meno i decerebrati che si apprestano ad un altro sabato di fuoco.


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