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La flat tax, la recessione in atto e la Babele della politica

recessione

Alle prossime elezioni europee (26 maggio) non manca molto: poco più di due mesi. Ma gli effetti di quella scadenza già si avvertono, nel dibattito politico. Specie se riferito ai settori più sensibili, che sono quelli collegati con l’economia. In una fase in cui la congiuntura non offre appigli di speranza, ma si presenta con il volto incattivito della recessione. Appena intiepidito da qualche dato positivo, come quello relativo alla produzione industriale di gennaio, ma subito gelato da un sentiment – il clima di fiducia di imprese e famiglie – che si muove in una direzione opposta e contraria.

Il principale sforzo delle varie componenti, sia tecniche che politiche, del governo giallo-verde è quello di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Ed annunciare provvedimenti che dovrebbero, soprattutto, colpire l’immaginario collettivo. Non tanto per invertire un trend che, a quanto pare, non ne vuol sentire. Ma per guadagnare qualche punto in quella che sarà forse una prima resa dei conti. E segnerà i nuovi equilibri politici sia in Europa, ma soprattutto in Italia.

Tutto lascia supporre, infatti, che i conti si facciano principalmente qui. Non si capirebbe, altrimenti, la crescente divaricazione nelle prese di posizioni dei due alleati di governo. Dalla Tav, alla Cina, passando per la flat tax ed il decreto “sbocca cantieri”. Per non parlare, poi, della legge sulla legittima difesa, il caso Diciotti (che potrebbe comportare qualche sgradevole sorpresa per Matteo Salvini) e via dicendo. L’impressione è che lo spirito bipartisan, che aveva alimentato il contratto di governo, si sia rapidamente esaurito, con l’approvazione di “quota cento” ed il salario di cittadinanza. E che ora venga la parte più difficile.

La Lega sembra avere meno problemi, nell’impostare la sua strategia elettorale. Le basta tornare al programma originario del centro – destra. E riproporre, come già ha fatto, l’introduzione, seppure per tappe, della flat tax. Nella proposta, elaborata da Armando Siri, sottosegretario (per sbaglio) alle infrastrutture, ma soprattutto consigliere economico di Salvini, si pensa ad una aliquota unica del 15 per cento da applicare su un reddito “familiare” inferiore a 50 mila euro l’anno. Previste anche possibili ulteriori deduzioni a seconda del numero dei figli. Costo ipotizzato 10 – 15 miliardi. Valutazione realistica, considerando le attuali aliquote che colpiscono il solo reddito individuale, ma con un imponibile ridotto dal peso delle deduzioni e detrazioni: 23 per cento per i gli imponibili fino 15 mila euro e 27 per cento fino a 28 mila euro.

Immediata la risposta, non proprio assertiva, di Luigi Di Maio: troveremo con la Lega “un punto d’incontro”. Profezia di non facile realizzazione visti i precedenti in materia. Con in più l’evidente animosità che traspare dal commento d’accompagno: “l’importante é non fare facili promesse alla Berlusconi”. Pericolo, in qualche avallato, da uno studio, per così dire “parallelo”, del Mef, messo in circolazione più o meno lo stesso giorno in cui Siri parlava della sua proposta e Matteo Salvini ne tesseva le lodi nei suoi incontri di Matera, dove si voterà la prossima settimana. A parti rovesciate, i 5 stelle non andrebbero esitato a tirar fuori nuovamente la storia della “manina” ministeriale, che entra a gamba tesa nel gioco della politica.

Cosa dice, infatti, lo studio del Mef? Che il costo sarebbe pari a 59,3 miliardi. Per la verità tutto questo non c’entra alcunché con la proposta di Siri. I presupposti giuridici del dossier sono totalmente diversi. Prevedono due aliquote: 15 e 20 per cento. Con la prima che si applicherebbe fino ad un reddito personale di 80 mila euro. Anche in questo caso sarebbero previste deduzioni (che alimentano la similitudine e quindi la confusione) per ogni figlio, pari a 2 mila euro. Ma si tratta di particolari che, in una campagna elettorale che si preannuncia virulenta, contano poco. Basta il raffronto del costo totale, per portare acqua al proprio mulino.

Il Mef risulta, quindi, coinvolto, anche suo malgrado in una querelle che rischia solo di alimentare malumori. Tuttavia, rispetto all’ultima proposta di Armando Siri è difficile non scorgere quanto meno una dissonanza, che non può che derivare da una scarsa comunicazione. Il ministro dell’economia, Giovanni Tria, mentre altrove si discute comunque della necessità di ridurre il carico fiscale, invia al Presidente del consiglio, Giuseppe Conte, un piano di rilancio dell’economia tutto basato sul rilancio degli investimenti.

Nella proposta si avanzano misure, per molti versi, tradizionali, come il rilancio della Sabatini, il super ammortamento o una prima semplificazione delle procedure d’appalto. Per citarne solo alcune. Interventi necessari per contrastare le tendenze recessive in atto. Ed evitare che il prossimo semestre dell’anno sia una fotocopia dell’andamento che si intravede nei primi sei mesi. Di cui tre quasi interamente trascorsi. Scelta, in qualche modo obbligata, ma anche dissonante, rispetto a quanto si cucina altrove. Il che non potrà che alimentare vecchie e nuove polemiche.


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