Connettività infrastrutturale e commerciale. Per la Cina l’Italia è una sorta di bocchettone strategico per connettersi con l’Europa. La connessione più veloce e sicura, rispetto a impervie linee di collegamento costrette ad attraversare il medio oriente e i Balcani. Dunque molti miliardi, aggiramenti e mimetizzazioni di tutti i tipi, ma anche moltissima intelligence per individuare i punti deboli e gli scheletri negli armadi degli interlocutori. Perché Pechino non ha alternative: il traguardo dell’Europa è raggiungibile soltanto attraverso l’Italia.
Chiarito il contesto si spiega tutto il resto. Per l’economia cinese, costretta ad espandersi senza mai rallentare o peggio fermarsi, pena l’implosione del sistema, lo sbocco commerciale nel vecchio continente è una questione di vita o di morte. Le prospettive di un fallimento sarebbero tragiche. Chi assorbirebbe la super produzione delle fabbriche formicaio cinesi, chi rifornirebbe più la Cina di valuta pregiata e soprattutto di know-how strategico, scientifico, manifatturiero, chimico e sanitario ricavato attraverso la capillare intelligence sulle reti di comunicazione gestite ufficialmente dai network digitali cinesi, ma in realtà controllate direttamente dal governo della Repubblica Popolare?
L’Italia ha esclusivamente il vantaggio della posizione geografica al centro del Mediterraneo. Per inondare i mercati europei dei miliardi di containers della via della Seta i porti di Trieste, Genova e Palermo sono insostituibili. Palermo e la Sicilia sulla rotta di Gibilterra e baricentro per l’Africa, oltre che come grande hub aeroportuale.
Ma il nostro Paese è in grado di sfruttare al meglio l’insostituibile posizione geografica strategica senza farsi imbrigliare nella trappola del debito pubblico e della cybersecurity, analogamente ai molti paesi dell’Asia e dell’Africa che, in una sorta di nemesi del colonialismo, hanno dovuto cedere per 99 anni Pechino la proprietà di porti e infrastrutture? La vulnerabilità della voragine dei conti pubblici e la fragilità dell’attuale assetto politico rendono l’Italia particolarmente esposta e permeabile alla sottile strategia di Pechino, tutta intelligence e miliardi di euro facili. Come ha delineato un recente studio del sito di informazione e politica internazionale della Luiss, la Cina si avvia a celebrare nel 2049 il centenario della fondazione della Repubblica Popolare imponendo il primato economico e militare su tutto il pianeta.
L’obiettivo dichiarato, determinato anche dalla necessità di una espansione economica continua, è quello di ricreare la supremazia storica dei tempi del Celeste Impero, durante il quale il Paese definiva se stesso come tianxia, ideogramma che indica tutto ciò che è sotto il cielo. Le premesse lasciano prevedere che nel 2049 probabilmente la Cina sarà davvero la più grande potenza economico politica del mondo.
L’essenziale questione aperta rimane comprendere come Pechino utilizzerà il potere che avrà a disposizione: entrerà nel contesto delle nazioni democratiche e liberali o tenderà piuttosto ad imporre un sistema politico blindato e autoritario, un maxi fratello neostalinista, in grado di controllare tutto e tutti. Uno stato super totalitario che attua un mix tra iper-capitalismo e neo-mercantilismo esclusivamente sullo sfondo della cinica e assoluta prevalenza degli interessi della Cina? Rimarranno posteri per l’ardua sentenza?