Se l’Italia non ha ottenuto grandi successi commerciali dall’accordo firmato negli scorsi giorni con la Cina, anche la Cina non può dirsi vincitrice. La ragione non è rassicurante, ed è principalmente l’inaffidabilità dell’attuale governo italiano che, dalla sua nascita ad oggi, ha cambiato posizione diverse volte e su diversi temi, sia relativi alla politica interna che quella estera. A fare un bilancio della “conquista cinese dell’Italia” è, ancora una volta, il New York Times, che ha pubblicato l’opinione della giornalista italiana Ilaria Maria Sala, esperta di Cina e Asia. Un bilancio a freddo, dopo il dibattito sulla firma del MoU, accordo più politico che commerciale, da cui l’Italia non esce benissimo.
“Mr. Xi – si chiede la giornalista – ha davvero ottenuto dall’Italia quello per cui era venuto?”. La risposta è, sinteticamente, no. “I termini essenziali del MoU – e dei 29 contratti firmati con esso, che vanno dal frivolo al temerario – sono estremamente vaghi. Infatti, alcuni impegni sono intrinsecamente non vincolanti”, spiega il Nyt, ma non solo. In gioco c’è anche una grande opera su cui il governo italiano non ha ancora sciolto i nodi. “La Cina, che è ansiosa di vendere più prodotti in più mercati, sta esortando il governo italiano a portare finalmente avanti un piano per un collegamento ferroviario ad alta velocità tra Torino (Italia) e Lione (Francia)”, ossia la Tav. “Questo progetto – si legge – è da due decenni un flagello per i politici italiani, ripetutamente bloccato da attivisti che si oppongono ai suoi costi e al suo possibile impatto ambientale. Rimane un problema oggi, in particolare per una parte del Movimento delle Cinque Stelle. Le ambizioni globali della Cina dovranno anche confrontarsi con la politica locale”.
Insomma, al di là dell’adesione alla Via della Seta, i vincoli sugli accordi commerciali restano labili, tanto più se si considera che entrambe le parti – segnala la giornalista – possono decidere di svincolarsi dall’accordo con soli tre mesi di preavviso, oltre alla previsione che l’accordo non è legalmente vincolante. Questo apre a uno scenario futuro fondamentalmente incerto, in cui al cambiare delle dinamiche interne al governo vada cambiando anche la posizione dell’Italia sull’accordo con la Cina.
Non passa inosservato, infatti, il doppio binario su cui si è mossa la Lega prima e durante la visita del presidente cinese in Italia. “Mentre il signor Xi arrivava a Roma giovedì sera, il signor Salvini, che dirige la Lega, ha lasciato la città per fare campagna per le elezioni regionali in Basilicata, nel sud-est. Sabato, il giorno della firma del MoU, ha partecipato ad un forum industriale in Lombardia, sua provincia natale, dove ha detto: ‘Non dirmi che la Cina è un mercato libero. L’Italia perde 60 miliardi di euro all’anno per le contraffazioni cinesi’. Mentre il signor Xi stava concludendo la sua visita domenica mattina, il signor Salvini ha posato con una mucca e ha twittato la foto con un bacio emoji che dice ‘Buona Domenica da noi'”. Tuttavia, sottolinea Sala, uno dei maggiori artefici dell’accordo è proprio un esponente della Lega, Michele Geraci, economista e attualmente sottosegretario allo Sviluppo Economico.
“Questa divergenza – conclude il Nyt – è solo un esempio del disordine della politica italiana di oggi. In questo contesto, il signor Xi potrebbe essere uscito dalla sua visita in Italia come l’unico adulto nella stanza. Ma questo non significa che ha il controllo o che otterrà ciò che vuole. Se il governo italiano è un partner inaffidabile per i propri elettori, per gli altri europei e per la NATO, può esserlo anche per la Cina”.