Negli ultimi due anni, lo sviluppo dell’Intelligenza artificiale e delle nuove tecniche di utilizzo dei big data è diventato insieme più veloce e maggiormente diffuso. Intelligenza Artificiale: insegnare ad una macchina a pensare come un uomo, secondo la vecchia definizione, mentre Big Data è una massa così grande di dati per volume, velocità, varietà da dover consentire tecnologie e metodi specifici per estrarre dati dalle notizie già apprese e estrarre nuovi dati e collegamenti da quelle che appaiono non connesse tra di loro. Si va, per esempio, dalla previsione analitica del comportamento dei compratori, sempre utilizzando il machine learning, alla deduzione di rapporti tra singoli dati e sequenze di fenomeni. Ogni compratore vuole il premio x, per fare un esempio. Poi, abbiamo oggi anche la possibilità di generare delle Gans, Generative Adversarial Networks, che creano oggetti non presenti nella realtà; ma simili alla realtà, facce mai viste ma del tutto probabili, oggetti inseistenti ma che sembrano funzionanti. Per non parlare, qui, dei sistemi che si autocorreggono sulla base di concetti che sono adattati dalla stessa macchina; e di programmi che, a partire da un piccolo nucleo, si auto-costruiscono.
Negli Usa, il totale degli investimenti per le società di Ai vale oggi già 2,3 miliardi di usd. Ma, secondo gli analisti di questo specifico mercato, vi sono alcuni trend che si realizzeranno a breve e che faranno la differenza tra i vari competitor globali. Il reinforcement learning, per esempio, è una tecnica che permette al software utilizzato di massimizzare un premio cumulativo. Un premio informativo o, anche, di rapidità nella ricerca dei dati. Una sorta di algoritmo pavloviano che favorisce la rete AI più adatta e, soprattutto, più capace di creare nuovi algoritmi durante la sua attività “evolutiva”. Serve, questo device AI, per i robot, ma anche, come è facile immaginare, per la formazione universitaria o per la salute, soprattutto per l’organizzazione di terapie per malattie croniche o anche per analizzare/prevedere i flussi delle azioni sui mercati. Poi, c’è la Intelligenza Artificiale per il quantum computing. Che una tecnologia utilizzata dai calcolatori che operano, appunto, con la fisica quantistica. Il computer quantistico, oltre a elaborare informazioni nel modo “classico” di tutti i computers, utilizza due caratteristiche specifiche del sistema quantistico, la sovrapposizione, ove due o più stati quantistici possono essere sommati, e l’entaglement che implica, in modo contro-intuitivo, la presenza di numerosi correlazioni a distanza tra tutte le quantità fisiche prese in esame.
Una disponibilità di dati e di velocità di calcolo, quindi, che permette operazioni prima inimmaginabili: l’analisi del cambiamento climatico continentale, i cicli economici mondiali delle materie prime, il numero e le costanti fisiche delle galassie nello spazio. In futuro, poi, avremo la convergenza tra IA e la Internet of Things, che renderà autonoma sia la costruzione dei veicoli che la loro guida. Un’altra integrazione, a breve termine, avverrà tra la tecnologia Blockchain e l’Intelligenza Artificiale. Del blockchain abbiamo spesso parlato, ma qui si tratta soprattutto dell’integrazione tra la rete “chiusa” della blockchain e una raccolta dati selettiva o, altrimenti, una tecnologia brevettata e ancora segreta. Poi, ancora, un settore promettente della AI è quello del riconoscimento facciale, poi la capacità, da parte dei programmi specializzati, di riconoscere i dati manipolati. Immaginiamo quanto sia importante, questo algoritmo, nelle analisi di intelligence. E ancora, abbiamo a disposizione le reti neurali complesse per il “deep learning” ma, soprattutto, avremo la possibilità di elaborare modelli socio-economici molto complessi e fortemente predittivi. Il Deep Learning è la rete di apprendimento automatico di AI che utilizza gerarchie di concetti o segni, dove i concetti di più alto livello sono definiti da quelli a più basso livello. Individuare le sequenze genetiche di alcune malattie, individuare tumori a raggi X, organizzare un supermercato automatico, queste sono operazioni da Deep Learning. E, comunque, ci saranno evoluzioni significative anche nella tutela della privacy e per l’elaborazione del linguaggio naturale, sia per il Deep Learning, che spesso usa dati personali, che per le altre tecniche AI.
Ma come si muovono, quindi, i maggiori Paesi di fronte a questa nuova, straordinaria opportunità tecnologica e produttiva? Per quel che riguarda la Cina, essa si è inserita nel “primo livello” globale di AI già nel 2017, mentre vende molte armi con contenuto di Intelligenza Artificiale nel Medio Oriente (Arabia Saudita e Eau) e nelle aree dove non si può innescare una concorrenza tra la Cina e gli altri Paesi dotati di tecnologie AI. Per l’Armata di Liberazione del Popolo cinese, la guerra oggi sta passando dalla distruzione dell’avversario “convenzionale” alle operazioni di danneggiamento-eliminazione dell’avversario, che sono basate sulla AI, ma che sono estremamente veloci e mirano alla distruzione completa del nemico. Sempre per i cinesi, la guerra futura sarà un “confronto di algoritmi” e non uno scontro di “forze”. Inoltre, Xi Jinping e il suo gruppo dirigente ritengono che, mentre si espande il ruolo della AI nel sistema sia civile che militare, la Cina debba basarsi sempre di meno sulle tecnologie importate e, sempre di più, su quelle elaborate all’interno della Cina. Proprio nell’ottobre 2018, Xi ha presieduto un Politburo spcifico sulla AI. Quindi, autoreferenzialità strategica, scientifica e tecnologica e, insieme, il raggiungimento dell’egemonia mondiale. Un elemento strategico importante, nella dottrina cinese della AI, è la necessità, posta da alcuni dirigenti fin dal 2018, di “evitare la minaccia globale della AI” e, quindi, di impostare sul piano multilaterale alcuni controlli globali, come è accaduto per l’arma nucleare e quelle chimiche. Un recente documento elaborato dalla China Academy for Information and Communication Technology parla già, apertamente, di norme internazionali che possano porre sotto controllo la AI. E, inoltre, i decisori militari cinesi pensano già da oggi a una futura guerra “senza combattenti” e con armi del tutto autonome dall’uomo e perfino trasportatesi autonomamente. Già oggi, la Cina esporta buona parte dei propri droni aerei in Medio Oriente, anche di quelli di ultima generazione, che sono quasi tutti a comando remoto. Ma la Cina mostra anche un forte interesse per la robotica militare e, in particolare, per il decisionmaking militare automatizzato. Nella dottrina attuale di Pechino, vi è in primo luogo la supremazia nell’intelligence a cui segue, quasi naturalmente, la dominance nell’AI. Nello Xingkiang si usa già, per esempio, l’Intelligenza Artificiale contro il terrorismo locale.
Le tecnologie AI vengono, in questo caso, utilizzate per identificare e tracciare tutte le attività dei terroristi, sia tramite la rete dei sensori sia per mezzo delle tecnologie di riconoscimento facciale e di altri tratti fisici. Inoltre, il governo di Pechino ha fondato due nuovi centri di ricerca in ambito AI, lo Unmanned Systems Research Center, e lo Artificial Intelligence Research Center. Sono tutti e due dedicati alla ricerca AI dual use, civile e militare, ma la Cina vuole diventare presto, malgrado l’innegabile sviluppo AI di altri Paesi, prima nella ricerca, prima in brevetti AI, prima, e la cosa non è trascurabile, in venture capital investito in AI, prima ancora per il numero di imprese che si occupano di Intelligenza Artificiale e, infine, il più ampio pool di talenti al mondo. Sul piano dell’analisi delle proprie debolezze strategiche, la Cina, oggi, percepisce dei limiti, in ambito AI, per quel che riguarda i migliori ricercatori, gli standard tecnici in uso, il livello qualitativo delle piattaforme di software, l’ evoluzione dei semiconduttori. Che è essenziale per lo sviluppo di sistemi evoluti di software. Altri limiti del loro progetto AI, i dirigenti cinesi li trovano, in ambito tecnologico, nello hardware specifico per le piattaforme AI e nella evoluzione degli algoritmi.
Oggi, la estensione dei “migliori” esperti di AI riguarda, nel mondo, circa 204.575 elementi. Gli Usa ne hanno almeno 28.536 e la Cina, che è già al secondo posto, ne ha oltre 18.232. Ma Pechino è ancora e solo ottava nella classifica del Top AI talent, con soli 997 scienziati AI ai massimi livelli, in rapporto ai 5.518 degli Usa. Per la ricerca di nuove tecnologie e mercati AI, la Cina sostiene, nei suoi documenti ufficiali, che si debba sempre “tener fede ai meccanismi di mercato, ma accelerare la commercializzazione delle tecnologie AI per creare un vantaggio comparativo. Infine, l’operatore cinese deve sempre comprendere bene la divisione del lavoro tra il mercato e il governo”. Commercializzare per creare un vantaggio comparativo, Concetto molto interessante, per valutare la strategia di Intelligenza Artificiale di Pechino. E il punto di svolta sarà, per Pechino, lo sviluppo e l’innovazione autonoma nell’industria dei semiconduttori, ieri come oggi alla base delle tecnologie prima informatiche, poi AI. E, in futuro, saranno proprio le nuove tecnologie AI ad essere rapidamente di mercato, in Cina, per sostenere lo sforzo finanziario della loro implementazione e, soprattutto, per continuare ad operare, con i vecchi strumenti di massa, nell’ambito dell’intelligence. Ma, in astratto, quali sono gli elementi del potere nazionale, in un’era di AI? In primo luogo, occorre avere a disposizione una grande quantità di dati utili. AI aumenterà fortemente, in effetti, il potere di quei Paesi che saranno capaci di identificare, acquisire e applicare quei set di dati che permettono lo sviluppo di nuove architetture di AI efficaci.
Più dati, più algoritmi. E maggiori algoritmi, maggiore la loro precisione e complessità. Inoltre, essendo le capacità per lo sviluppo della AI ancora molto rare, nella comunità dei ricercatori, allora vincerà la gara dell’Intelligenza Artificiale quel Paese che investirà moltissimo nella ricerca ma, soprattutto, negli stipendi e nelle strumentazioni scientifiche dei ricercatori AI. Non bisogna nemmeno dimenticare le risorse per il calcolo, che devono già essere molto vaste. Già oggi, il più potente computer del mondo è cinese. Poi, ci deve essere l’incentivo, politico o economico, a adottare la AI nel business, nelle imprese o negli uffici. Ancora, occorre una solida correlazione per gli investimenti, tra privato e pubblico. Da questo punto di vista, la Cina è favorita, dato il suo legame tra militari e accademie scientifiche, mentre gli Usa, invece, mostrano dei limiti. Che sono insiti nella logica di funzionamento privatistico della Silicon valley e negli scarsi rapporti tra questa e i Decisori militari. Ma, infine, vi è anche una intelligente, e non mitologica, valutazione delle norme sulla privacy. Paesi che privilegiano, talvolta ossessivamente, la privacy su altre normative, sono ovviamente più lenti a sviluppare una tecnologia evoluta in ambito AI. Qui, ancora, la tecnologia materiale è di per sé determinante: l’evoluzione nelle schede grafiche, i chips con particolari caratteristiche, tutta l’evoluzione dell’hardware permette non la possibilità astratta della AI, ma la sua esistenza operativa. Senza un determinato livello x della tecnologia già raggiunto, la AI è semplicemente impossibile. A parte gli Usa e la Cina, in AI investe Israele, sia per motivi commerciali che militari: oggi Israele, in ambito AI, ha già raccolto 7,5 miliardi in toto, con 950 piccole aziende, il 51% delle quali utilizza tecnologie di machine learning. La Federazione Russa investe da tempo moltissimo in AI e in robotica. Lo stato russo ha addirittura raddoppiato, nell’ultimo anno, gli investimenti in AI mentre, per i dirigenti militari di Mosca, “saranno i robot ad essere i veri autori della prossima guerra”, mentre gli staff militari russi tendono già da oggi alla “automazione completa dello spazio militare”.
Kalashnikov, la ditta ben nota, ha già studiato e lanciato sul mercato una serie di armi autonome, gestite da reti neurali AI, ma poi ci saranno, presto, sottomarini N russi del tutto robotizzati, oltre all’Armata T-14, il carrarmato, evoluto anche in AI, che è già stato visibile in Siria. Qui, la tematica giuridica che i cinesi talvolta richiamano si ricollega, soprattutto, alla Convention on Prohibition on Restriction on the Use of Certain Conventional Weapons which may be deemed to be excessively injurious or to have indiscriminated Effects, una convenzione ginevrina che data dal 1981 ed è siglata da 50 Stati. Se la Ccw, ovvero la Convenzione suddetta, si applica ai nuovi killer robots, lethal autonomous weapons systems (Laws) allora Russia, Usa, Cina e Israele devono, come è ovvio, mettere in azione nuovi tipi di Laws. Che non sono certo robot come quelli dei fumetti anni ’60, ma delle armi convenzionali, almeno all’apparenza, che decidono da sole, senza comando umano, chi deve vivere e chi deve morire. La Cina è d’accordo con i nuovo criteri Laws, comunque, ma il fatto è che: a) le armi Laws sono determinanti per il futuro battlefield, b) Pechino ha già stabilito le tecnologie adatte ai futuri Laws, c) la Cina ha elaborato armi ancora più evolute, in rapporto alle nuove potenze in crescita. La nuova arms race, lo ripetiamo, avverrà sempre e comunque in ambito AI. Ma, per quel riguarda la Russia, c’è da notare anche altro.
Nel 2014, il sistema politico-finanziario di Mosca ha definito 9 settori ad altissima tecnologia, nella prospettiva che la Russia possa essere produttore di tali tecnologie AI entro il 2035. Sono i progetti AutoNet, AeroNet, EnergyNet, FinNet, FoodNet, HealthNet, MariNet, NeuroNet e SafeNet, tutte reti sostanzialmente AI. Finora, sono stati ben 1400 i progetti AI condotti in Russia. Per le previsioni condotte dal governo di Mosca, il mercato dell’AI e del machine learning dovrebbe moltiplicarsi almeno di tre volte entro il 2020, mentre nei prossimi 5 anni l’80% delle decisioni, nei mercati finanziari, saranno condotte tramite AI, mentre ancora il 50% dei terziario, nei prossimi 5 anni, sarà dominato da tecniche di AI. Sia nel caso si tratti di e-commerce che di altre tipologie di scambio. Poi, ancora, abbiamo Singapore, un piccolo ma potente hub per l’Intelligenza Artificiale. Infine, c’è la Corea del Sud, che utilizza la AI per i mercati finanziari e del suo export ma, soprattutto, per controllare la Zona Demilitarizzata al confine con la Corea del Nord. In linea di massima, quindi, potremmo dire che la AI opera preferibilmente in paesi che sono capital intensive. Certo, per quel che riguarda le questioni AI militari, negli Usa c’è Google, che è in parte utilizzabile dalle reti strategiche, ma la Cina ha il pieno controllo statale di internet, il che permette una immane raccolta di dati per poi elaborare alcuni algoritmi “utili”.
Per quel che riguarda la Cina, abbiamo già visto, in linea di massima, la futura strategia AI. Gli Usa, invece, non hanno finora avuto una vera e propria strategia nazionale AI, anche se, oggi, dopo alcuni documenti della Casa Bianca durante la presidenza di Barack Obama, ma soprattutto dopo alcune decisioni di Donald J.Trump, la AI è stata integrata alla Difesa e viene esaminata per quel che riguarda la possibilità di creare un mercato privato, che determini la vittoria della AI Usa su quelle cinesi o russe. In riferimento ai Paesi meno interessati, o capaci, per l’ egemonia in AI, vi è anche l’India, che è interessata alle applicazioni dell’Intelligenza Artificiale in agricoltura e nella amministrazione, mentre si occupa, per la Difesa, di veicoli terrestri automatizzati e di robotica. Per l’ Unione Europea, vi è una “Strategia per l’Intelligenza Artificiale” elaborata nell’aprile 2018, con 20 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati fino al 2020 e altri 20 nel decennio successivo. Vi sarà, nominati da non si sa chi, anche un gruppo di esperti EU, che si occuperà delle linee guida etiche per l’utilizzo della Ai. All’interno di questa rete si delinea, oggi, l’investimento pubblico italiano per l’Internet delle Cose e l’Intelligenza Artificiale che, nel bilancio pubblico 2019-2020, dovrebbe essere di 15 milioni di Euro. Nessun altro commento è necessario.