Per la Chiesa Cattolica la Settimana Santa, e dunque il senso profondo del sacrificio di Cristo, si apre con la domenica delle Palme. Racconta l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, acclamato dal popolo come il Re d’Israele che “viene nel nome del Signore”. È una folla in festa, adorante, che aderisce toto corde al suo carisma. Norman Jewison, nel bellissimo “Jesus Christ Superstar” hippie del 1973, che traspose in pellicola il musical rock di Tim Rice, descrive l’entrata in Gerusalemme come una marcia trionfale, in un tripudio di ramoscelli d’ulivo, in cui l’attesa mistica e l’aspettativa politica di riscatto dall’oppressore imperialista si fondono. Può essere, ma è una suggestione non raccolta nelle scritture evangeliche: piuttosto risente della temperatura politica che circolava nel cinema degli anni ’70.
Accade, però, nel breve volgere di qualche giorno, che quel furore di popolo che porta Gesù sugli allori, si tramuti in furore omicida. Da parte della stessa folla. Per Jewison la ragione è, ancora una volta, politica: un popolo deluso che nel film parla per bocca di Giuda, trasmuta amore in odio per una rivoluzione mancata, perché il leader si è chiamato fuori. Per i Vangeli,invece, è il compimento del disegno divino con l’estremo sacrificio del figlio di Dio per il riscatto dei peccati dell’intera Umanità. Al di là del sentimento, religioso o laico, che ci anima, la passione di Cristo rappresenta indubbiamente un momento di drammaticità intensa, non a caso frequentemente rappresentata in letteratura e in teatro da Muriac, Pomilio, Pasolini, Fabbri, Péguy, tanto per citare alcuni tra i più grandi. I topoi inevitabilmente “politici” che hanno sempre colpito l’immaginario sono il processo, il ruolo di Pilato e quello della folla. Pilato è una figura condannata in eterno all’ambiguità e al giudizio dubbioso di chi ne analizza i comportamenti. È intimamente convinto dell’innocenza di Gesù e lo dichiara pubblicamente. Ma non arriva al punto di assumersi la responsabilità di salvarlo. Sceglie, alla fine, il percorso di quella che oggi definiremmo “democrazia diretta” per ingannare se stesso e lasciar decidere al popolo. Pratica il “lavaggio delle mani” che resterà nei secoli famoso come simbolo del più cinico scaricabarile. Ma, se Pilato assume una personale responsabilità per la morte di un innocente proprio tentando di fuggire dalla responsabilità, il popolo che invoca la crocifissione di Cristo è l’assassino materiale. Le dinamiche perverse, che portano quelle stesse persone che qualche giorno prima avevano osannato Gesù a condannarlo a morte con ferocia, sono largamente analizzate da Jung nella teoria degli archetipi e dell’inconscio collettivo, ma trovarono nel lavoro di un poligrafo come Gustave Le Bon, Psicologia delle folle, del 1895, una descrizione precisa che fece da riferimento al pensiero di tutto il Novecento (dittatori compresi).
Per Le Bon la folla è un’anima collettiva che si forma con caratteristiche sue proprie facendo convergere le emozioni e l’intelligenza di ognuno nelle emozioni e nell’intelligenza uniche. Ognuno nella folla è anonimo e deresponsabilizzato: l’inconscio collettivo (direbbe Jung) è quella grande anima irrazionale che dà libero sfogo alle più intime pulsioni. Ecco dunque come, muovendo i tasti giusti, un manipolatore attrezzato può orientare le masse. Deresponsabilizzazione, conformismo, istinti primordiali, rabbia, perdita del controllo di sé. Possiamo davvero dire che questo processo sia così lontano dalla nostra quotidianità nell’era dell’anonimato digitale? Buona Settimana Santa.