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Purtroppo la profezia di papa Wojtyla sul capitalismo si è avverata

Papa Giovanni Paolo muro

La caduta del Muro nel 1989 aprì una nuova epoca nella storia dell’umanità. Entusiasmi e gioie caratterizzarono per anni quel tempo: nuove suggestioni, grandi speranze, per la fine dell’oppressione e per la riconquistata libertà da parte di un popolo soggiogato per decenni dalla dittatura comunista. Intellettuali dissidenti del mondo sovietico costretti a vivere le ristrettezze e la violenza di un regime inumano negli storici “gulag”. Sacharov, Solzhenitsyn, attraverso i loro libri fecero arrivare in Occidente il grido di aiuto per affrancare quel popolo da un regime ormai diventato umanamente insopportabile.

Ci fu una mobilitazione culturale, politica, economica in Occidente per aiutare i cittadini dell’Urss a venir fuori dallo stato di cattività e di soggezione perpetuatosi per circa un settantennio. L’impresa fu dura ma il Muro fu abbattuto. Tutti pensarono che il Pianeta avrebbe goduto del nuovo Eldorado. Uno solo, pur soddisfatto della svolta storica, perché aveva sofferto sulla propria pelle la crudeltà del comunismo, mise in guardia i popoli e le genti dei tanti Paesi e villaggi del Globo che non sarebbe stato così. Una intervista rilasciata nel novembre 1993 al giornalista Jas Gawronski chiarì bene che messo in crisi il comunismo, il capitalismo avrebbe usato ogni mezzo per spadroneggiare, affermarsi, anche in maniera selvaggia. L’intervistato si chiamava Giovanni Paolo II. Le parole profetiche del Papa polacco si sono puntualmente avverate, se si esamina l’attuale stato dell’economia su scala planetaria. La ricchezza mondiale è nelle mani di pochissimi, per cui la sudditanza al governo disumano del capitalismo economico sta diventando un fatto scontato e acquisito, nell’indifferenza quasi generale dei potenti della Terra.

Nel frattempo è cresciuta la povertà. I flussi migratori di conseguenza non sono forse determinati dalla ricerca di una vita più dignitosa dal punto di vista economico, sociale, umano? L’azione premeditata di organismi nazionali e internazionali, al di sopra degli Stati, che assumono decisioni, prescindendo dal reale governo politico degli stessi non è forse limitazione della sovranità dei singoli popoli? I centri politici decisionali dove si trovano? Chi li riconosce? Perché i parlamenti nazionali devono ratificare decisioni, attraverso l’approvazione di accordi e trattati di organismi sovranazionali privi di legittimazione politica, come la Commissione dell’Ue? Tutti a stracciarsi le vesti per le decisioni imposte agli stati da parte dell’Ue, ma nessuno che proponga processi democratici alternativi, in grado di contrastare tecnocrazie al servizio di potentati economici e finanziari su scala planetaria.

E allora non è il caso di affrontare radicalmente la questione, riportando sui giusti binari la sostanza del problema, ridando dignità, ruolo, potere alla politica? In che modo, se non attuando politiche di partecipazione tra i vari soggetti in campo? Nella storia dell’umanità il capitale ha avuto sempre una fondamentale importanza, ma era sempre scontato il suo carattere sociale. Oggi, purtroppo, la politica ridotta ad una condizione ancillare dell’economia e della finanza ha rinunciato alla sua funzione storica di governo della cosa pubblica, si tratta di riappropriarsi del suo naturale ruolo finalizzato alla costruzione del bene comune. È tempo di una nuova rivoluzione copernicana che metta al centro la vera politica capace di collegare società e istituzioni, non considerando mai contrapposti i due mondi.



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