Dal 5G e le telecamere di Huawei alla cyber security di Zte, sembra non conoscere confini la “passione” (ricambiata) tra Roma e i colossi tecnologici cinesi, da tempo sospettati da Washington di costituire un possibile veicolo di spionaggio a beneficio di Pechino.
IL CENTRO CYBER DI ZTE
Proprio nella Capitale, ha annunciato oggi dalle pagine del Sole 24 Ore Hu Kun, presidente e amministratore delegato di Zte Western Europe e alla guida di Zte Italia, la compagnia cinese (controllata per il 51% da società pubbliche del Paese) lancerà il mese prossimo il suo Cybersecurity lab europeo. Un progetto che, nelle intenzioni (delineate in linea generale in un recente Libro Bianco, si focalizzerà su alcuni ambiti sicurezza dei prodotti end-to-end dell’azienda, e nella definizione delle pratiche per ricerca e sviluppo, supply chain, protezione dei dati personali e gestione degli incidenti.
Messa in difficoltà dal temporaneo ban americano, la telco ha comunicato di aver chiuso il 2018 con una perdita di 1 miliardo di dollari e ricavi operativi per 85,51 miliardi di yuan (12.74 miliardi di dollari) in calo del 21,4%. Un anno nero, insomma, almeno dal punto di vista del bilancio.
L’ATTENZIONE PER L’ITALIA
Ora, anche grazie alla presenza in Italia, di fatto il suo hub continentale con la sede di Milano, l’azienda intende rilanciarsi. Nella Penisola, Zte ha già aperto a L’Aquila un centro di innovazione e di ricerca sulle reti mobili di quinta generazione, il Joint Training Center con l’Università di Roma Tor Vergata (destinato a preparare professionisti dell’Ict) e ha annunciato di voler mettere sul piatto 500 milioni di euro in 6 anni, oltre ai 100 già spesi.
I TIMORI PER LA SICUREZZA
Investimenti che, si evince dalle parole dello stesso Hu e dai successivi commenti degli addetti ai lavori, non mettono però a tacere le tante riserve riguardanti i possibili problemi di sicurezza derivanti da una presenza sempre più massiccia delle tech cinesi in Italia (un timore reso ancora più forte dalla recente firma del Memorandum d’Intesa sulla nuova Via della Seta tra Cina e Italia che contiene al suo interno anche un riferimento alle telecomunicazioni).
Entrambi i dossier – ha più volte ricordato Formiche.net –, sono, con sfumature diverse, da tempo all’attenzione dei servizi segreti che dei rischi connessi alla pervasività dell’elemento tecnologico e dei risvolti del progetto infrastrutturale e politico per collegare Pechino all’Eurasia hanno parlato anche nell’ultima relazione del Dis al Parlamento, presentata a fine febbraio dai vertici del dipartimento alla presenza dello stesso Conte. Tutti i suggerimenti, negli anni, non sembrano però aver trovato ascolto dagli esecutivi che si sono succeduti e lo stesso pare accadere oggi, nonostante i ripetuti warning dell’alleato statunitense.