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Trump-Haftar, Pentagono e Segreteria di Stato provano a minimizzare

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Come spesso succede nella Washington trumpiana, a un’azione del presidente corrisponde una reazione di altri parti dell’amministrazione. Ieri la Casa Bianca ha passato ai giornalisti che accompagnano le vacanze pasquali in Florida di Donald Trump un breve statement che riportava i contenuti, tutt’altro che duri, usati dall’americano in una conversazione telefonica avuta lunedì con il signore della guerra dell’Est libico, Khalifa Haftar, che da quindici giorni sta cercando di mettere a ferro e fuoco Tripoli, dove è insediato un governo sostenuto dalla Nazioni Unite.

Dello statement non c’è traccia nei canali ufficiali della comunicazione della presidenza, ma dopo essere stato pubblicato dalla Reuters non è stato ancora smentito.

La telefonata, col suo contenuto passato ai giornalisti (quasi un riconoscimento del ruolo di Haftar, sebbene su di lui penda una denuncia all’Aja avanzata dal premier onusiano Fayez Serraj), ha mandato in subbuglio diverse cancellerie perché sembra invertire il ruolo di supporto al programma Onu su Serraj, che gli Stato Uniti hanno avuto da sempre. E forse anche per questo c’è stata una successiva salva distensiva dall’amministrazione statunitense.

Il segretario di Stato, Mike Pompeo, ha telefonato – dal Giappone – al suo collega inglese Jeremy Hunt col quale hanno discusso dell’impegno dei rispettivi paesi per raggiungere un cessate il fuoco in Libia e un ritorno al processo politico. La telefonata a Londra è importante perché gli inglesi – i primi a condannare l’aggressione di Haftar a Tripoli – stanno conducendo le trattative affinché il Consiglio di Sicurezza dell’Onu costruisca una risoluzione per chiedere lo stop ai combattimenti e l’arretramento delle forze haftariane.

Finora ci sono state due bozze, entrambe bocciate prima del voto – e una volta sono stati anche gli Usa a non voler far votare il documento.

Poi il capo del Pentagono ad interim, Patrick Shanahan, ha detto ai reporter che una soluzione militare non è comunque sul tavolo e non è una via percorribile per risolvere la crisi libica. È stato un secondo passaggio utile a sottolineare che la telefonata di Trump a Haftar non conteneva – almeno per come la Difesa la intende – un messaggio di endorsement per l’azione militare contro Serraj (un tentativo di scacco che sul campo sta andando male, e ha già prodotto oltre duecento morti, molti dei quali civili).

Shanahan ha detto che Pentagono e “ramo esecutivo” (ossia: West Wing) sono “ben allineati”, e ha così provato a tranquillizzare quella cancellerie che avevano reagito nervosamente alla notizia della telefonata di Trump, telefonata in cui l’avanzata su Tripoli non veniva menzionata (e “non era chiaro capire se questo fosse un bene o un male”, dicono fonti libiche).

“Una soluzione militare non è ciò di cui la Libia ha bisogno, quindi quello che abbiamo detto prima e quello che sostengo è il sostegno del feldmaresciallo Haftar in termini di ruolo nell’antiterrorismo, ma dove abbiamo bisogno del sostegno di Haftar è nel costruire stabilità democratica lì, nella regione”, ha detto il capo del Pentagono.

Riconoscere un ruolo nella lotta al terrorismo ad Haftar (seguendo il principale fronte narrativo dietro alla sua aggressione) può essere il modo per fornire una buona uscita al Feldmaresciallo? Nei giorni scorsi anche nei corridoi diplomatici italiani si parlava di fornire al settantacinquenne da Bengasi una scappatoia “dignitosa”.

All’inizio del mese, una dichiarazione del dipartimento di Stato era stata molto più rigida, chiariva che Washington si opponeva all’attacco “unilaterale” di Haftar e che la necessità era evitare vittime civili, tornare al tavolo politica e recuperare lo “status quo ante”, ossia il ritorno alle posizioni militari precedenti all’attacco haftariano (non che abbia fatto sostanziali guadagni, per ora, ndr).

La presidenza e gli altri rami dell’amministrazione sono spesso stati su posizioni sfumatamente diverse riguardo a vari dossier, e in questo caso non è chiaro se la dichiarazione stampa passata ai giornalisti in Florida sia stato il frutto di un errore nel sistema di comunicazione. Non sarebbe la prima volta che il Press Office della Casa Bianca sbaglia toni, sottolineature, accenti, su temi anche delicati.

Perché sulla posizione americana pesa anche quanto detto un mese fa dal comandate di AfriCom alla Commissione per i servizi armati della Camera: “Dietro le quinte non c’è dubbio sul fatto che i russi hanno sostenuto l’Esercito nazionale libico (acronimo inglese: Lna, è l’ambizioso nome che Haftar ha dato alla sua milizia, ndr) con tutti i tipi di attrezzature, persone, addestramento e simili e hanno supportato Haftar, che ora si è spostato da est a ovest “. Secondo il generale Thomas Waldhauser la Russia avrebbe interesse sulla Libia per giocare influenza su una posizione chiave nel Mediterraneo, parte meridionale della Nato. E l’amministrazione statunitense non sarebbe troppo contenta delle penetrazioni russe nell’area.



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