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Migranti, poveri, sfruttati. Il senso dell’oggi nella Via Crucis di Papa Francesco

Scelta del XVIII secolo, poi ripresa e interrotta fino a quando Paolo VI la ristabilì definitivamente come appuntamento della sera del Venerdì Santo, la Via Crucis celebrata ieri sera al Colosseo ha ritrovato la pienezza del suo valore universale e rivoluzionario, presentandoci i nuovi cristiani perseguitati del tempo presente; le vittime della tratta internazionale, degli scafisti, del lager illegali, delle normative che impediscono loro l’esercizio dei loro diritti di asilanti e rifugiati. Il Colosseo infatti ha presentato al mondo i nuovi schiavi, i nuovi perseguitati, i nuovi figli delle catacombe, i nuovi gladiatori. Per loro il Mare Mediterraneo è diventato il Mare Calvario: nonostante si dica “aiutiamoli a casa loro”, infatti, casa loro, semplicemente, non c’è più: molto spesso è stata incendiata, altre è stata bombardata.

Casa loro non c’è più, ma quando il Colosseo era lì, da loro, era difficile raccontare il loro Calvario. Oggi il loro Colosseo è qui, accanto a quello storico, nelle nostre città, nelle nostre campagne, nei nostri porti, nelle nostre periferie neglette, abbandonate. I portici dove dormono nascosti sono le nuove catacombe, anche i ponti del Tevere sotto i quali si nascondono sono le nuove catacombe. Di tutto questo, e quindi dei nuovi cristiani perseguitati, al di là della loro fede, ha parlato questa Via Crucis con le sue meditazioni, perché parlano e ci parlano della centralità dell’uomo, di ogni uomo, non solo della loro centralità, ma della centralità di ciascuno per il semplice fatto di essere e magari di essere emarginato.

Sono state le meditazioni di Suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata, presidente dell’Associazione “Slaves no more”. Tutte meditazioni centrate sulla realtà italiana. La forza della rivoluzione cristiana, pacifica, non violenta, centrata sull’uomo come fratello creato a immagine e somiglianza di Dio, ha spiegato il senso di questo enorme movimento, il movimento dei migranti, che sembra venuto a rianimare il Mediterraneo, mare del vivere insieme, paralizzato nella paura del futuro che si trasforma in timore dell’altro. Questa rivoluzione spiega il senso profondo di una delle frasi più celebri di Gesù; “Dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è Dio”. Come scrisse Pier Paolo Pasolini, questa frase si capisce soltanto se capisce che quella “e” non congiunge ma disgiunge, divide, indica due ordini contrapposti.

Il senso di questa Via Crucis è immerso nel senso profondo dell’oggi, la cerimonia della Via Crucis è tornata un evento connesso profondamente ed evidentemente con la nostra quotidianità, con il nostro presente, il nostro futuro. Tutti abbiamo potuto capire il fastidio che molti dovevano provare per la predicazione di Gesù, perché ha dato fastidio, ci ha dato fastidio, la predicazione di Suor Eugenia Bonetti, immersa senza mezzi termini tra bambini morti o lasciati morire e palazzi accartocciati su se stessi.

Non c’era bisogno di essere credenti per entrare nell’attualità e rilevanza dell’evento, bastava essere consapevoli dell’oggi, del significato delle sfide che abbiamo davanti, e quindi della ritrovata portata rivoluzionaria, pacifica e non violenta, del cristianesimo. Una rivoluzione che lava i piedi a tutti senza leccarli a nessuno. È questa la grande sfida della Chiesa di Bergoglio affidata in questo Venerdì Santo alle meditazioni di Suor Eugenia Bonetti: riproporre la rivoluzionarietà del cristianesimo ad un mondo cristiano che si scristianizza perché il cristianesimo in molti ha perso la sua portata di alleato degli uomini, delle donne sfruttate, degli anziani abbandonati, dei bambini feriti nella loro purezza, dei dimenticati, di chi ha sete di giustizia e di pace, riconoscendo nelle loro croci la croce di Cristo.



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