Ieri gli Stati Uniti hanno annunciato di voler portare avanti con aggressività il piano con cui ridurre a zero l’export di petrolio iraniano, principale asset economico per Teheran. Un progetto con cui colpire l’economia della Repubblica islamica per poi poter portare il paese a nuovi negoziati. “Nuovi” perché l’amministrazione Trump ha tirato fuori gli Usa dal sistema negoziale precedente, il “5+1”, quello che aveva portato alla strutturazione dell’accordo sul nucleare che ora Washington non riconosce.
Secondo il segretario di Stato, Mike Pompeo, falco anti-Iran, siamo davanti all’inizio vero e proprio della strategia della “massima pressione” con cui gli americani intendono scombussolare il paese, ritenuto un nemico perché considerato un attore che cerca con la forza di egemonizzare la geopolitica della regione mediorientale (e cerca di farlo senza una partnership con Washington, come invece fa l’Arabia Saudita che ha l’Iran come nemico politico e ideologico e gli Usa di Donald Trump come amici fidati).
È un sistema articolato il fronte schierato da Washington contro la Repubblica islamica. Per esempio, due settimane fa, gli Stati Uniti avevano inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche – per la prima volta nella storia – un’unità militare regolare, i Pasdaran iraniani, i Guardiani della rivoluzione islamica che rispondono direttamente alla Guida Suprema Ali Khamenei.
Una mossa dal potere simbolico più che pratico, che mandava un messaggio chiaro nei confronti di chi aveva relazioni con i Guardiani (che hanno una struttura endemicamente diffusa anche su tutto il tessuto socio-politico-economico e culturale dell’Iran), e che contemporaneamente ha scatenato una reazione nei circoli più conservatori della politica iraniana.
Il 21 aprile, il canale informativo Tasmin, organo semi-ufficiale della teocrazia, ha annunciato che Khamenei aveva nominato il generale Hossein Salami alla guida dei Guardiani anche noti con l’acronimo inglese IRGC, sostituendo dopo più di undici anni Mohammad Ali Jafari mandato al Hazrat Baqiatollah al-Azam centro socio-culturale, think tank del Consiglio dei Saggi, usato come parcheggio di lusso per notabili del regime.
Se Jafari era l’uomo della Guida, generale-politico piuttosto riflessivo, Salami incarna la linea più aggressiva che la minoranza massimalista ha preteso a capo dei Guardiani come contromossa a Washington. Il nuovo capo dei Pasdaran aveva reagito dicendosi orgoglioso della designazione terroristica americana per sé e per le IRGC – sparate che, secondo un analista che parla con Formiche.net in via discreta, “vedremo più spesso adesso, perché all’azione americana potrebbe corrispondere l’incremento delle posizioni più radicali a Teheran”.
Salami è un ufficiale che s’è distinto tra le altre cose per avere fatto pubblicamente commenti a proposito delle guerra proxy che l’Iran ha diffuso nella regione per esercitare la propria influenza e che gli Stati Uniti ritengono l’elemento centrale da combattere. Dobbiamo abbandonare la guerra per procura e avviare una stagione di confronto aperto con Stati Uniti e alleati (Israele e Arabia Saudita), diceva sul Jahan un giornale tradizionalmente vicino all’intelligence. Era stato sempre Salami a reagire alla designazione terroristica dei Guardiani annunciando una rappresaglia simmetrica contro il CentCom il comando del Pentagono che copre il Medio Oriente.
Nell’ambito di questo ingaggio bellicoso e completo che gli Stati Uniti hanno intrapreso contro l’Iran, rientra anche un’altra mossa: la taglia su tre elementi di prestigio di Hezbollah, ritenuti rappresentativi all’interno della catena di approvvigionamento economico del gruppo libanese.
Il Dipartimento di Stato ha offerto una ricompensa da 10 milioni di dollari a chi avesse fornito informazioni che avrebbero permesso alle agenzie americani di interrompere le finanze del movimento militante, comprese informazioni sui donatori, sugli istituti finanziari che assistono le transazioni e sulle attività controllate dal movimento. Hezbollah, che ha collegamenti strettissimi con l’IRGC, in Libano ha una struttura politica e socio-economica molto consistente (per certi versi simile a quella dei Guardiani) e riceve aiuti economici dall’Iran – all’interno del piano con cui creare un’internazionale sciita nella regione che passi da Siria, Iraq, Libano (in modo più sfumato, Yemen).
Recentemente, durante una visita a Beirut, Pompeo aveva detto che considerava un successo nella strategia anti-Iran l’appello per ottenere donazioni avanzato da Hezbollah. Ossia, come dire: se Hezbollah resta senza soldi è perché Washington ha lavorato bene per chiudere i rubinetti (anche petroliferi) iraniani che finanziano il gruppo.
Pompeo esortava a contrastare le “ambizioni oscure” del gruppo e dell’Iran, ma aveva suscitato la replica piccata del ministro degli Esteri locale che sottolineava come Hezbollah è una realtà che in Libano gode di un’ampia base. Da dopo l’attacco del 1983 a una caserma militare a Beirut, in cui morirono 241 americani, Washington considera il gruppo un’organizzazione terroristica, ma Hezbollah funziona anche come partito politico, ha incarichi nell’attuale governo, e gode del sostegno di alcuni libanesi che ricordano la sua campagna di guerriglia che ha portato Israele a ritirarsi dal paese nel 2000.
Gli israeliani hanno più volte colpito il gruppo in Siria, dove secondo le intelligence di Gerusalemme l’Iran sta sfruttando il contesto caotico della guerra per rifornirlo di armi sofisticate con cui attaccare lo stato ebraico, con cui i libanesi sono tecnicamente in guerra dal 2006. Israele, insieme all’Arabia Saudita (che tra le altre cose cerca di giocare pressioni anche in Libano per limitare la presa di Hezbollah nel paese), è il principale alleato americano e asse del tridente anti-Iran in Medio Oriente.