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Inneggiare al Fascismo non è reato, ma troppi episodi devono far riflettere

fascismo

L’ultima inchiesta aperta per una manifestazione fascista e l’ultima assoluzione per la stessa accusa portano la stessa data: 30 aprile. Una coincidenza che consente di affrontare un tema complicato attorno al quale ruotano ideologie anacronistiche, leggi forse da adeguare, problemi di ordine pubblico, libertà di manifestazione del pensiero, il tutto in epoca di sovranismi.

Milano è al centro degli ultimi casi. Il giudice dell’ottava sezione penale Alberto Nosenzo ha assolto quattro persone accusate di apologia di fascismo perché il fatto non sussiste. Il 24 aprile 2016 un gruppo di reduci della Repubblica sociale commemorò i propri caduti al Campo X di Milano, evitando comunque di fare il saluto romano. In quell’occasione, però, alcuni urlarono il motto nazista “Sieg heil” ed esposero lo stendardo della 29. Divisione granatieri Waffen-SS. È scontato che nelle motivazioni dell’assoluzione si parlerà di semplice manifestazione commemorativa, com’è avvenuto in situazioni analoghe. Nel caso specifico, l’accusa aveva contestato l’articolo 2 della legge Mancino in base al quale si punisce “chiunque, in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi” definiti all’articolo 1 come aventi “tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”. Il giudice aveva riqualificato l’accusa nell’articolo 5 della legge Scelba in base al quale va condannato fino a 3 anni “chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste”. A quanto pare, queste leggi non sono state violate.

Stessa sorte toccherà probabilmente all’inchiesta aperta all’indomani della manifestazione in memoria di Sergio Ramelli, il diciottenne di destra morto il 29 aprile 1975 dopo essere stato massacrato a colpi di chiavi inglese nel marzo precedente da studenti di medicina aderenti ad Avanguardia operaia. Una delle tantissime vittime, di destra e di sinistra, di quegli anni di piombo. Il corteo milanese, composto in gran parte da aderenti a gruppi di estrema destra ma al quale partecipavano anche parlamentari di Fratelli d’Italia e della Lega, non era autorizzato: dopo uno scontro con la Polizia, una mediazione ha consentito un breve percorso. La novità sta nello scontro con gli agenti in tenuta antisommossa perché la morte di Ramelli viene commemorata da sempre e non si ricordano incidenti negli ultimi anni: ha forse ragione il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, quando dice che “ogni giorno si va un po’ più in là”, invitando ad avere attenzione?

Giuridicamente c’è poco da discutere se la Corte di Cassazione, ancora a febbraio 2018, stabilì che il saluto romano non costituisce reato se l’intento è solo commemorativo e non violento assolvendo due esponenti di CasaPound per quanto avvenne nel 2014 proprio in occasione della commemorazione di Ramelli. Il semplice saluto non basta dunque per ravvisare una ricostituzione del partito fascista mentre invece, sempre secondo la Cassazione, sarebbe reato intonare “all’armi, siam fascisti” o fare il saluto romano impugnando il manganello.

Politicamente, invece, ci sarebbe materia per ragionare. Ricordare le vittime degli anni di piombo non può certo essere vietato anche se si potrebbe fare senza rimpiangere certi regimi. Il 24 aprile 2016 al Campo X di Milano il presidente dell’Unione combattenti della Repubblica sociale, Armando Santoro, ammise che la commemorazione avviene prima o dopo il 25 aprile perché “il 25 aprile per noi non è un giorno di festa”. L’idea che il 25 aprile 1945 l’Italia non fu liberata bensì “invasa” dagli Alleati, del resto, è concetto espresso spesso in questi anni da autorevoli intellettuali di destra neo-sovranisti. L’ipotesi di una modifica delle leggi Scelba e Mancino in senso restrittivo è semplicemente utopistico, eppure gli episodi che si stanno intensificando dovrebbero far riflettere. È significativa una frase ricordata nei giorni scorsi dalla Stampa e attribuita a Vittorio Foa, storico esponente della sinistra e membro della Costituente, il quale parlando con Giorgio Pisanò (membro della X Mas, fondatore del Msi, parlamentare e negli anni Novanta fondatore del Movimento fascismo e libertà) gli disse: “Se aveste vinto voi, io sarei ancora in galera. Abbiamo vinto noi e tu sei senatore della Repubblica”. Bisognerebbe ricordarsene alla prossima “manifestazione commemorativa”.



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