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Lega e 5 Stelle non possono più stare insieme. Parola di Hegel

Di Maio Salvini sovranismo sovranista

Georg W. F. Hegel avrebbe definito l’alleanza di governo tra la Lega e i 5 Stelle come una “antinomia”. Difatti, nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche (58, 48), il grande pensatore tedesco spiegava: “L’antinomia è l’affermazione di due proposizioni opposte circa lo stesso oggetto, e in modo che ciascuna di queste proposizioni può essere affermata con pari necessità”. Ora, è bene sapere che questo complesso esercizio di logica può essere molto interessante, ma non può mai tradursi in una reale ed efficace esperienza di governo, senza che l’azione stessa di un esecutivo non termini in un’impasse terrificante.

Ci ricordiamo tutti del celebre asino di Buridano: davanti a due mucchi di fieno, incerto nella scelta, il povero animale finisce per morire di fame. Questa è la situazione della politica italiana, la quale ha le sue ripercussioni evidenti sullo stato della nostra economia, tanto fragile sia a causa del debito pubblico elevatissimo e sia della poca credibilità che un patto del genere ha nello sviluppo della produzione industriale e del lavoro.

Sappiamo tutti, d’altronde, come e perché il contratto che ha dato via al governo del cambiamento si sia generato, e quale sarebbe stata l’alternativa se Matteo Salvini non avesse deciso di emigrare e sbarcare nella “terra del nemico”: avremmo avuto un governo tecnico che oggi avrebbe gli stessi risultati recessivi con l’aggravante di essere giudicato anti democratico.

Perciò, subito dopo le elezioni dello scorso anno vi era un senso nell’opzione gialloverde. E aggiungo che probabilmente prima delle elezioni europee di fine mese avrebbe avuto poco senso fare tornare gli italiani al voto. Ciò nondimeno, gli avvenimenti hanno una loro ineluttabilità e una loro necessità, anche quando sembra che i fatti sfuggano di mano.

Oggi, ad esempio, il leader della Lega è in visita in Ungheria. Si tratta di un viaggio politico importante per definire l’identità internazionale già molto netta della Lega. Orban è presidente di un Paese che guida il sovranista Gruppo di Visegrad, è membro del Ppe ed è una figura chiave nello scacchiere dell’Europa.

Farsi promotore di un progetto di riforma europea di tipo nazionalista, nella logica di Salvini, è giusto e opportuno. Ma questa nettezza ideale diviene sempre più intorbidita dalla contraddizione di stare al governo a tutti i costi con un movimento antagonista, e oltretutto di permanerci con chi per la propria sopravvivenza dovrà sempre più amplificare la divergenza che gli è propria con la destra.

Lo stesso Hegel che parlava del valore filosofico dell’antinomia, come abbiamo letto, sapeva bene che la vera potenza dell’antitesi sta nel suo superamento. E con buona pace dell’Idealismo tedesco, tale conciliazione avviene soltanto quando i diversi si oppongono e si separano, evitando la contraddizione.

In Italia l’unica alternativa possibile è il centrodestra, oppure le tante forme di sinistra che si snocciolano di continuo. Tra queste fa parte anche, e in modo estremo, pure il M5S. Lo dimostra la scelta No Tav, lo dimostra l’assistenzialismo parassitario del reddito di cittadinanza, lo dimostra la reticenza verso le politiche di sicurezza e di chiusura sull’immigrazione, fatte pesare di continuo da Luigi Di Maio e compagni.

Ebbene, anche in merito alle grandi questioni ideali della famiglia, della comunità e dell’etica umana l’atteggiamento grillino non coincide con i valori cristiani portanti e tradizionali del centrodestra, i quali una volta pensati devono essere realisticamente attuati con forza, moderazione, intelligenza e coerenza.

È vero che il baricentro del centrodestra si è spostato sul lato estremo. È vero che questo può comportare mal di pancia nella parte centrista. Ma i principi politici che Salvini manifesta sono diversi da Forza Italia unicamente per il grado di radicalità, e non per la matrice culturale di fondo. Stessa cosa si dovrebbe dire in grande a proposito del Ppe e dei movimenti conservatori, i quali insieme hanno eletto felicemente Antonio Tajani alla presidenza dell’Europarlamento. Il problema semmai è stato in passato proprio l’altra grande antinomia, quella che ha unito in un abbraccio mortale Popolari e Socialisti per tanti anni, generando l’antipolitica di oggi.
Smettiamola di tergiversare sul niente pragmatico del potere. Il futuro dell’Europa non prevede antinomie, ma antitesi: esse sono funzionali alla democrazia quando i diversi restano nettamente distinti tra loro, conservando magari una propria fisiologica eterogeneità al proprio interno.

Comunque si veda e s’interpreti, quindi, la campagna elettorale, il problema non è Siri o la Raggi, non è la presenza di piccole e grandi schermaglie mediatiche, ma l’incompatibilità di fondo tra le idee politiche dell’attuale maggioranza. Perciò è bene, affinché non si resti nell’astrattezza recessiva delle compatibilità impossibili, che ognuno se ne torni presto a casa sua. E sarebbe auspicabile che Salvini si impegnasse a guidare un centrodestra unito e vincente, e non un’insana ed anomala antinomia.


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