Un nuovo spettro si aggira per l’Europa: l’astensionismo alle prossime elezioni di fine maggio. I precedenti non sono incoraggianti e non sono partoriti dal sonno della ragione. Alle scorse consultazioni europee, nel 2014, si è registrata la più bassa affluenza di sempre e a dispetto del grande interesse che sta suscitando dal punto di vista mediatico l’appuntamento per rinnovare il Parlamento di Strasburgo, qualche segnale di costante disaffezione c’è.
A guardare i dati dell’affluenza dal 1979, data in cui si elesse la prima assemblea comunitaria, con la Gran Bretagna appena entrata nell’Ue, il rischio che anche questa tornata elettorale segua il trend è piuttosto alto. Il declino, fin dalla prima elezione, è stato implacabile: dal 62% del 1979, al 42,61% del 2014, non c’è stato un anno in cui gli elettori siano aumentati e il fenomeno di bradisismo europeista ha riguardato in particolare i Paesi fondatori: in quarant’anni in Germania si è passati dal 66% al 48%, in Francia dal 61% al 42%, in Italia dall’85% al 57%.
Nel Regno Unito, da sempre euroscettico, l’affluenza non ha mai superato il 40% (36% nel 2014) ed è difficile che con la Brexit sempre dietro l’angolo possa cambiare qualcosa in questo convulso e per certi versi inspiegabile 2019. Solo nei Paesi dove il voto è obbligatorio, come Belgio e Lussemburgo, gli elettori effettivi hanno sfiorato il 90% cinque anni fa, anno in cui slovacchi, cechi, polacchi, sloveni, ungheresi, croati, lettoni, rumeni e portoghesi non sono riusciti però a portare alle urne più del 30% dei cittadini. Sembra un’Europa spaccata a metà, come per le vicende economiche: da una parte il blocco dell’euro, che cresce molto meno di chi, dall’altra, ad Est vive tassi di espansione economica sempre sopra il 3% e coltiva sogni di ritorno al nazionalismo, come il gruppo di Visegrad manifesta plasticamente. Perché votare allora se quello che si ha, si ottiene in casa e se in Europa esiste un Fiscal Compact e non un Social Compact?
Lo scarso interesse per il voto, destinato ad influenzarne l’esito, è spiegato da un recente Eurobarometro secondo cui la maggior parte degli europei considera molto basso il suo impatto sulla legislazione europea, nonostante questa abbia invece – spesso a loro insaputa – una ricaduta molto ampia sulle loro vite. La maggior parte delle persone che ha risposto al sondaggio è convinta che anche stavolta i cittadini non andranno a votare perché “ritengono che il loro voto non cambierà niente” in Europa, e perché “non si fidano del sistema politico” o “non sono interessati alla politica europea”. Viste le divisioni tra europeisti e sovranisti risulta difficile non comprendere questo stato d’animo. Solo un terzo degli europei ha un’opinione positiva sul Parlamento europeo, mentre un esprime un parere negativo e la maggioranza relativa (43%) è neutrale, ovvero se ne disinteressa. Appunto, coloro che potrebbero astenersi. Tutti segnali di disaffezione verso il progetto europeo che potrebbero trasformarsi facilmente in scontento in grado di determinare un successo dei partiti nazionalisti.
Forse anche per questo assume una qualche rilevanza la voce che arriva dal Ventotene Europa Festival, Meeting giovanile di giovani studenti europei tra i 16 e i 18 anni. Giunto alla terza edizione, il Festival ha per protagonisti gli studenti dai 16 ai 18 anni, alcuni dei quali hanno partecipato al vertice di Chambord tra i capi di Stato Sergio Mattarella e Emmanuel Macron, rappresentando le scuole Balzac e Leonardo da Vinci di Parigi, istituti che hanno studiato l’Europa proprio sull’isola pontina. È l’incontro conclusivo di un percorso innovativo di cittadinanza europea iniziato nel 2017 con la fondazione di una Scuola d’Europa sull’isola, ospite dell’istituto Altiero Spinelli e patrocinata dall’associazione presieduta da chi scrive, La Nuova Europa.
L’obiettivo è quello che in tanti auspicano: porre le basi per una Costituzione Europea, in grado di colmare il grande gap sociale tra 500 milioni di cittadini e istituzioni comunitarie. Un sogno? Forse. Ma non lo era pure quello di Spinelli, Colorni e Rossi nel 1941, in piena seconda guerra mondiale con Hitler vittorioso? Contro ogni ragionevolezza il Manifesto di Ventotene disegnò invece un quadro politico preciso, la federazione degli Stati per guadagnare la pace. Come immaginava Kant. Come predisse Churchill. Siamo in una via di mezzo e il voto giovanile sarà decisivo, visto che saranno nove milioni i neo diciottenni a recarsi per la prima volta alle urne. Che lo spettro partorisca una rivoluzione?