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Le macerie che si abbattono sui regimi

Novembre 1989 – novembre 2009. A distanza di vent’anni sembra che pezzi di Muro continuino a cadere da quel di Berlino sulle teste di tutti noi in Italia. Dopo due decenni infatti la Germania si ritrova, non senza difficoltà, riunificata mentre il nostro Paese continua, con difficoltà non inferiori, a fare i conti con l’infinita transizione. Non avendo metabolizzato appieno quel che avvenne nei mesi successivi al novembre ’89 (un susseguirsi di scosse che culminarono nel biennio ’92-’93), non c’è da stupirsi che la classe dirigente italiana sia smarrita oggi che – con l’abbattimento delle Torri Gemelle e il fallimento di Lehman Brothers – il quadro geopolitico appare nuovamente cambiato. E’ come se la politica ed i media qui da noi fossero affetti da un eccesso di autoreferenzialità che impedisca loro di vedere cosa accade fuori dai propri confini e di sistemizzarlo.
Vent’anni fa si scioglieva la cortina di ferro e la separazione del mondo in due blocchi finiva per implosione del blocco sovietico. Questa novità ha finito per sconvolgere gli Usa alle prese con una nuova e più grande responsabilità globale (da quel momento in poi il loro coinvolgimento in conflitti armati è aumentato, a partire dalla prima guerra in Iraq). Sorte non migliore non capitò all’Italia dove la Prima repubblica lentamente franò. I partiti che avevano dominato dal Dopoguerra furono oggetto di una violenta campagna di destabilizzazione. Il loro vantaggio competitivo (la “condanna” a governare per evitare l’ascesa dei comunisti) era venuto meno e i nemici interni (come la mafia) ed esterni (come le corporation che mal sopportavano la crescita delle nostre imprese, molte delle quali ancora statali) avevano trovato modalità di connessione che soltanto l’indiscrezione di un interrogatorio di Di Pietro a Vito Ciancimino comincia ora a svelare.
Allora, se un piano vi fu, riuscì solo a metà. L’abbattimento dei partiti di governo fu un successo ma la parte costruens del piano (sempre che vi fu) non vide mai la luce. L’outsider Silvio Berlusconi entrò in campo con le conseguenze che conosciamo. Oggi abbiamo l’impressione che quel cortocircuito si stia ripresentando sia pure in forme diverse. Le inchieste della magistratura, gli attacchi della stampa straniera, l’insofferenza di ambienti finanziari significativi a livello nazionale e non solo, il timore di azioni terroristiche prossime venture: questi gli ingredienti di un menu che preoccupano, e non poco, il presidente del Consiglio. “Non farò la fine di Craxi” ha detto esplicitamente Berlusconi. Non glielo auguriamo. In gioco però non c’è solo il suo destino personale ma quello di un Paese, l’Italia, che al gioco della geopolitica o prova a entrare in partita (ma con la squadra giusta) o altrimenti è destinata a perderla. I pezzi di muro che cadono ancora possono fare male. Molto.

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