Tornare all’opposizione e leccarsi le ferite o accettare la convivenza forzata rischiando una lenta eutanasia elettorale? È il dubbio amletico che attanaglia i colonnelli pentastellati, ora in pressing sul leader Luigi Di Maio, di cui qualcuno chiede pure la testa. Per il momento la strategia, definita in una riunione fiume al Mise, è stringere i denti e tirare avanti. Dopotutto la pattuglia parlamentare ancora rispecchia i numeri da capogiro del 4 marzo 2018. Tornare alle urne è uno sparo nel buio, ma lo è anche restare a Palazzo Chigi con una Lega raddoppiata. Lì i Cinque Stelle sono condannati all’ “imbarazzo della stampella”, dice Giovanni Orsina, storico e politologo, direttore della Luiss School of Government.
Professore, cosa rischia Di Maio restando al suo posto?
L’imbarazzo di fare la stampella di Salvini, di abbassare la testa sui dossier cari alla Lega. Difficile pensare che il segretario leghista non voglia andare all’incasso. Capiremo subito se cercherà la rottura dalle condizioni che porrà al Movimento. La Tav può essere un nodo centrale, tanto più dopo la vittoria di Cirio in Piemonte.
C’è una chance che il governo resista all’estate?
L’unico modus vivendi possibile è quello in cui Salvini sceglie di non stravincere, dà spazio alle battaglie identitarie dei Cinque Stelle e permette loro di sopravvivere in pancia all’alleanza. Il cerino è nelle sue mani, per Di Maio le elezioni anticipate sono un rischio troppo grande.
La vittoria di Cirio in Piemonte consegna a Salvini le chiavi del Nord, manca solo l’Emilia Romagna. Ora non deve deluderne le aspettative.
Il rischio del fallimento c’è. Salvini è una grandissima bolla che si è gonfiata anche grazie a una strategia di comunicazione aggressiva. Gli elettori del Nord gli hanno dato fiducia contro i Cinque Stelle, ora si aspettano delle concessioni concrete. La mentalità settentrionale è lavoro-guadagno, pago-pretendo, il leader ora sentirà il pressing di quella parte del Paese e soprattutto dei suoi governatori.
Cosa se ne fa Salvini di tutti questi muscoli in Europa?
Qualcosa se ne fa. L’Europa può anche non tener conto che in uno dei Paesi fondatori i sovranisti hanno preso il 40%, ma a suo rischio e pericolo. Certo, l’idea di spostare il Ppe a destra e cambiare gli equilibri europei è tramontata di fronte ai numeri complessivi del fronte sovranista.
Chi sono invece i grandi sconfitti di queste europee?
Forza Italia è andata male, ma in fondo ha resistito all’urto…
Berlusconi ha perso parecchi punti percentuali ma può ancora dire di rappresentare una zona di sicurezza per Salvini. Con lui, stando ai numeri, ha la certezza di vincere il voto politico, se va solo con la Meloni il gioco si fa duro. Insomma, l’ex premier rimane un vero incubo per Salvini. A meno che…
Cosa?
A meno che non siano i berlusconiani a staccare la spina al leader. Giovanni Toti non è l’unico colonnello forzista che ha un buon patrimonio di voti sul territorio e un piede già fuori dal partito. Salvini può puntare sul distacco di una parte di Forza Italia, che si trasformerebbe nella stampella moderata della Lega e consentirebbe la formazione di un governo senza il Cavaliere.
E se non ci riuscisse?
Non vedo maggioranze alternative in Parlamento. Se il governo salta, Mattarella scioglie le Camere e l’ipotesi di un voto a settembre diventa realistica. La maggioranza M5S-PD sognata da una parte dell’establishment mi sembra fantascienza, sarebbe un calcio nei denti al Paese. C’è infine una possibilità remota che una parte del Movimento si stacchi e sostenga un governo Salvini. Ma a quel punto il leghista diverrebbe presidente del Consiglio senza passare dalle urne. A Renzi non ha portato molto bene…