Le elezioni politiche in Grecia si terranno il prossimo 7 luglio, con un Paese già in campagna elettorale da mesi e dove il premier in carica, Alexis Tsipras, tenta il tutto e per tutto per recuperare i quasi 10 punti di differenza guadagnati dai conservatori di Nea Dimokratia dopo il disastroso voto europeo di domenica scorsa.
Ma la strada appare tutta in salita e costellata da polemiche dentro e fuori le mura di Syriza, il partito di sinistra di cui Tsipras è leader e che guida il Paese dal 2015. La data deve essere ancora confermata dal Presidente della Repubblica, Prokopis Pavlopoulos. Ma il giovane premier sembra aver già pensato a tutto per metterlo nelle condizioni di accettare la prima settimana di luglio, quando, fino a ieri, le due date più probabili erano il 23 o il 30 giugno, sulle quali puntava soprattutto il segretario di Nea Dimokratia, Kyriakos Mitsotakis, da molti già giudicato il successore di Tsipras.
La motivazione ufficiale di questo slittamento sono gli esami di maturità che fra fine giugno e inizio luglio coinvolgeranno migliaia di studenti, ma soprattutto le scuole dove si dovrebbe votare.
A voler fare le cose in fretta, però, Tsipras avrebbe avuto la possibilità di andare al voto direttamente il 23 giugno. Secondo la legge greca, i comizi vanno convocati con almeno 22 giorni di anticipo. Tsipras avrebbe potuto incontrare Pavlopoulos già questa settimana e fare iniziare il processo. Invece il primo ministro non solo ha aspettato il risultato dei ballottaggi di domenica, dove i candidati di Nea Dimokratia sono in netto vantaggio rispetto a quelli sostenuti dal partito di maggioranza. Salvo sorprese, incontrerà Pavlopoulos con molta calma, il 10 giugno, giusto giusto per andare al voto il 7 luglio.
Quelle due settimane in più suonano a tutti come un tentativo, secondo molti disperato, di risalire la china e riuscire a recuperare terreno, magari trovando poi alleati per un possibile governo di coalizione. All’arco del premier, ci sarebbero alcuni provvedimenti economici pensati per le classi sociali colpite dall’austerity, che dovevano entrare in vigore in autunno, ossia quando il premier pensava di andare al voto.
Ma il risultato delle amministrative è stato troppo disastroso per essere ignorato e l’ex golden boy della politica greca inizia a essere attaccato dentro e fuori il suo partito. All’interno di Syriza, una corrente capeggiata dall’ex ministro degli Esteri, Nikos Kotzias, sta chiedendo il conto di una gestione troppo pura del partito e di alcune scelte operate dal premier, prima fra tutti quella di aver concesso troppo all’alleato di destra, il Partito dei Greci indipendenti Anel, e non aver cercato una sponda nel centro sinistra, che ora difficilmente deciderà di avere un ruolo in una eventuale coalizione anticonservatori.
Ci sono poi i nemici esterni. Nea Dimokratia aspetta di chiedere il conto delle elezioni del gennaio 2015, quando Tsipras conquistò un trionfale 36,3% dopo aver praticamente portato via la sedia al premier Samaras. I comunisti e i partiti di centro sinistra hanno sempre mal tollerato l’astro nascente di Syriza e del suo leader, che con il suo progetto di rinnovare la politica greca ha rischiato di fare sparire loro. Poi ci sono gli ex alleati, il partito di destra Anel, che non perdona a Tsipras l’accordo con la Macedonia del Nord per il cambio del nome della Repubblica balcanica.
Con tutte queste forze contro, anche ogni giorno di campagna elettorale può servire, se non per fare la differenza, almeno per limitare i danni.