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Il futuro della Generazione Z è tecnologico. Pelagalli (InnovaFiducia) spiega perché

Di Patrizio J. Macci
generazione z, artificiale

“Prendere decisioni richiede competenza e consapevolezza, esattamente quello che li aspetta nella scelta della strada da prendere nella vita da ora in poi”. Felicia Pelagalli, fondatrice di Culture e presidente dell’Associazione InnovaFiducia, docente di Formazione e Trasformazione Digitale all’Università Sapienza, in una conversazione con Formiche.net approfondisce le prospettive future per la cosiddetta Generazione Z. Nel 2019, Pelagalli ha organizzato un ciclo di incontri a tema (Trust Talk) su fiducia e cultura digitale: il primo dedicato all’Era Digitale, il secondo all’Europa e il terzo alla Generazione Z posta davanti al problema del mondo del lavoro. A lei chiediamo quali saranno i lavori del futuro e come orientarsi tra gli scenari possibili.

Professoressa, basta essere nativi digitali per avere una marcia in più? La Generazione Z è favorita per il solo fatto di avere il telefono cellulare come una protesi?

No, è una visione riduttiva della realtà. Il fatto di possedere e saper usare uno smartphone o un tablet non dà una marcia in più. È la competenza che fa la differenza. Certo se guardiamo i numeri dell’Italia la situazione è grave: i giovani laureati sono il 26% rispetto al 43% dell’Europa e abbiamo una percentuale molto alta di ragazzi che dopo aver terminato gli studi rimangono sospesi in una sorta di limbo, non lavorano, non studiano e non si formano.

Gli esami (di maturità) sono vicini, migliaia di studenti italiani si affacceranno agli studi universitari. Andiamo subito al nocciolo. Quale lavoro dovranno scegliere? O meglio quale corso di laurea dovrebbero intraprendere?

La risposta è secca come la domanda: tutto ciò che ha a che fare con l’Intelligenza artificiale, la robotica, gli algoritmi, i dati. E l’uomo. Il mercato del lavoro si sposta sempre più verso l’immaterialità delle strutture. Uber la più grande compagnia di taxi del mondo non possiede automobili, gli store che vendono software sono ospitati su dei server. Però dietro ci sono centinaia di migliaia di persone che ci lavorano. Il Digitale ha distrutto posti di lavoro ma ne ha creati altrettanti se non di più. La crisi (dal greco trasformazione) è in corso: occorre integrare competenze umane a quelle scientifiche. Ci vuole un cuore che batte nella lettura e interpretazione dei big data. C’è un bellissimo film che lo racconta: prima del tracollo dei mutui subprime negli Stati Uniti un analista setacciando i dati di milioni di contratti di mutuo sulla casa aveva previsto quanto sarebbe accaduto, leggendoli e interpretandoli. Anche i numeri hanno un loro lato sociale ed emozionale. Saperli leggere è fondamentale per estrarne non soltanto informazione, ma conoscenza.

È da preferire la cultura umanistica o quella scientifica per sperare di assicurarsi una chance in più?

Il nostro paese ha dei centri di eccellenza scientifica diretti e fondati da persone con una formazione umanistica, o meglio visionaria se vogliamo rimanere sull’attualità e magari inserire anche Leonardo da Vinci. La parola chiave, a mio avviso, deve essere quella di un Nuovo Rinascimento della nostra cultura che faccia da propellente alla scienza e alla politica. Steve Jobs in un incontro con gli studenti di Harward una volta ha detto che se gli italiani del rinascimento fossero vissuti abbastanza avrebbero inventato anche l’iPod.

Nel vostro ultimo incontro avete raccontato l’esperienza di una classe del Liceo Visconti di Roma che ha consegnato i propri smartphone chiudendoli in cassaforte. Avevano problemi di dipendenza?

È stato un esperimento dagli esiti estremamente interessanti. Gli studenti hanno vissuto una settimana senza social, senza messaggi istantanei. Con i telefoni consegnati alla propria docente, totalmente disconnessi. Dopo una prima fase di spaesamento la loro vita quotidiana si è aperta all’esplorazione. Hanno acquisito consapevolezza. Il livello di attenzione ne ha giovato, alcuni di loro hanno scoperto che c’è vita fuori dalla possibilità di creare reti di conoscenze esclusivamente con i social. Hanno costruito la narrazione della loro settimana molto particolare raccontandola con un video e in una prova scritta. Ci sono stati anche episodi divertenti, uno di loro è rimasto fuori di casa perché era convinto di poter avvisare… ma senza telefono non poteva più farlo (le cabine telefoniche non esistono più). La riflessione più acuta è arrivata da una studentessa che ha sottolineato come senza connessione il tempo sembra scorrere molto più lentamente.

Come hanno giudicato il salto all’indietro tecnologico?

Questa è la parte che li ha fatti riflettere di più. Avere migliaia di canzoni su un cd è ora possibile, sono abituati ad avere musica e video ovunque. Tutto e subito in unico device. Hanno compreso che la vita è fatta di scelte, avere tutto può voler dire non possedere nulla. Hanno recuperato il piacere di attendere, oziare per poi magari fare delle scelte più attente. Hanno assaporato il piacere di guardarsi dentro e riflettere per poi agire. Prendere decisioni richiede competenza e consapevolezza, esattamente quello che li aspetta nella scelta della strada da prendere nella vita da ora in poi.

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