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Perché l’Italia delle letterine non è brutta, sporca e cattiva

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Nonostante la soddisfazione dei principali protagonisti della vita politica italiana, le nostre riserve, sul tono ed i contenuti della lettera di risposta ai rilievi della Commissione europea, permangono.
Siamo sempre più convinti che l’Italia debba superare una sindrome à la Franti. Per chi avesse dimenticato edificanti letture giovanili, ricordiamo che stiamo parlando del libro Cuore di De Amicis. Franti era il cattivo, l’attacca brighe, che alla fine fa una brutta fine. Naturalmente non faceva “i compiti a casa”. Espressione che dovrebbe essere bandita dal lessico della politica. Non tanto perché riconducibile all’impostazione di Mario Monti. Ma, soprattutto, perché plagio clamoroso. Fu Helmut Kohl a tirarla fuori, nei confronti di Romano Prodi, nel momento in cui l’Italia chiedeva vincoli meno stringenti, che le consentissero un ingresso nella moneta unica meno traumatico.

Per fortuna, nella lettera di Giovanni Tria, di questo non si parla. Ma qualcosa di simile aleggia nell’aria, al di là delle pur necessarie osservazioni sul piano tecnico. Argomenti che non sono poi dissimili da quelli più volte usati da Pier Carlo Padoan, per giustificare diversità di impostazioni, non riconducibili alla necessità di un differente approccio di politica economica, ma alle sole modalità di un calcolo, comunque controverso. Risposta debole, come si vede, che non ha prodotto risultato alcuno. Visto che, a distanza di anni, si è costretti ad insistere sugli stessi elementi.

C’è da dire, a giustificazione dei tecnici del Tesoro, che la paura dei mercati fa novanta. Ma proprio per questo, evitando fughe in avanti, si poteva forse evitare di giocare solo in difesa, lasciando nell’indeterminatezza le scelte future. Come si provvederà a neutralizzare i possibili aumenti dell’Iva e delle accise? Vi sarà un aumento del carico fiscale pari all’1,3 per cento, secondo la legislazione vigente?

Come si finanzierà la possibile “riforma fiscale”. Preferiamo quest’espressione, sulla scorta delle indicazioni di Ignazio Visco, nelle sue Considerazioni finali, lette solo ieri, al termine flat tax. Esiste veramente la possibilità di una spending review di queste dimensioni? I difetti degli italiani sono noti. Gente indisciplinata, con il gusto di un individualismo che, a volte, sconfina nell’anarchia.

Ma vi sono anche le qualità. Altrimenti non si avrebbero quegli avanzi così consistenti delle partite correnti della bilancia dei pagamenti. Non vi sarebbe una manifattura che, nonostante la flessione del commercio internazionale, contribuisce in modo rilevante alla, seppur scarsa crescita del Pil. Dovuta soprattutto ad una insufficiente tenuta della domanda interna.

Non vi sarebbe una ricchezza finanziaria delle famiglie così elevata e diffusa. Né una posizione verso l’estero tendenzialmente attiva. Potremmo continuare all’infinito ad elencare meriti, per contestare le tesi di chi ci dipinge come un’accozzaglia di “brutti, sporchi e cattivi”. Ma per questo rimandiamo alle considerazioni del Governatore della Banca d’Italia. A quel gioco di luci e di ombre che traspare dal suo intervento.

Ma che c’entra si potrebbe replicare. Sono tutti elementi tipici del quadro macroeconomico, mentre la lettera si occupa solo degli aspetti legati alla finanza pubblica. Ma il limite è proprio questo. Questa continua scissione non ha più senso. È solo il ricordo di una vecchia impostazione che le passate elezioni, almeno per quanto riguarda l’Italia, avrebbe dovuto seppellire.

C’è spazio affinché questi concetti, così logici in una visione senza pregiudizi, possano essere
sostenuti, anche, a livello europeo? Ne siamo convinti. Di squilibri macroeconomici si parla nei Trattati, lo stesso documento di base, su cui sono state costruite le successive letterine della Commissione europea li prende in considerazione. Ed, allora, perché accettare l’impostazione esclusivamente “rigorista” di Pierre Moscovici e Valdis Dombrovksis? Un grande mistero.


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