La “questione meridionale”, come giustamente ricorda spesso il capo dello Stato, è una grande questione nazionale che investe la competitività dell’intero sistema-Paese. Il sud è l’unico spazio dove l’Italia oggi può crescere velocemente a ritmi superiori alla media europea e da dove potrebbe attingere le risorse per abbattere il suo gigantesco debito pubblico. Dove, del resto, le nostre piccole e medie imprese del centro-nord, schiacciate dalla crisi e dalla globalizzazione tra i bassi prezzi dei mercati emergenti e il dominio tecnologico e bancario della Germania sull’est europeo, può guardare per avere un futuro se non al Mezzogiorno e all’area mediterranea? Un cambio di prospettiva proposto al nord che richiede anche al vecchio, stantio meridionalismo di lanciare un messaggio nuovo con un profilo pragmatico e autenticamente riformista, non incline allo sterile rivendicazionismo. È questo lo spirito che anima l’appello che insieme a un folto gruppo di intellettuali, imprenditori, manager, donne e giovani del sud stiamo lanciando per promuovere in tutta Italia una nuova idea del Mezzogiorno. “Su la testa!”. È l’esortazione che stiamo lanciando non solo ai meridionali ma a tutto il Paese perché dobbiamo riappropriarci del destino della società e dell’economia in un’ottica di riscatto nazionale e non di gretti e infondati territorialismi.
Quello che proponiamo è un nuovo patto tra gli italiani a 150 anni dall’Unità. Il nord non può essere spinto verso il corridoio franco-tedesco producendo una scissione del territorio nazionale che aprirebbe gap incolmabili. Serve un’idea italiana del come posizionare il Paese nel contesto europeo. In questo senso la coesione nazionale parte dalle nuove consapevolezze del Mezzogiorno. Nessuno pensa che sia possibile superare in tempi brevi il dualismo del nostro sistema, ma restano di fatto non affrontate adeguatamente le questioni centrali: la coerenza tra misure dedicate e politiche generali, tema tanto più importante in una fase in cui si tenta di costruire uno schema di federalismo; la necessità di innovare gli strumenti, si continua, in modo acritico ed esaustivo, a sostenere gli incentivi automatici, nonostante il bilancio non esaltante di questa modalità, quando dovrebbero recuperare una dimensione di selettività. Ma progressivamente, mentre la politica stancamente di tanto in tanto riafferma la centralità del Mezzogiorno, con formule di rito che non tentano neppure modeste innovazioni semantiche, nel Paese avanza un’onda lunga di contrapposizione politica, culturale e sociale sul tema del sud, che per la sua profondità e radicalità rischia di essere la vera novità di questa fase. Monta la percezione – e la denuncia – della inutilità di dare soldi al sud, incapace di spenderli e, soprattutto, di spenderli bene. Questa percezione trova un puntuale riscontro in una rappresentazione sostanzialmente asimmetrica del sud: sprecone, corrotto, inaffidabile, preda facile della criminalità organizzata. In questa rappresentazione manca del tutto un sud normale: o lo sfacelo delle istituzioni, la delinquenza, i furbi, i finti disoccupati, i pubblici dipendenti cialtroni, i morti ammazzati, o gli eroi.
Non è così: ci sono eroi, ci sono tante cose che non vanno, ma c’è anche una realtà normale, con cittadini e istituzioni, con reddito e risorse più scarse, con qualità della vita meno alta. Italiani operosi, che non sono adeguatamente rappresentati e purtroppo la politica guarda poco a loro, perché impegnata in un’operazione diversa: investire nella contrapposizione. Dall’altra, specularmente, vi è la denuncia dei torti subiti, degli stanziamenti promessi e mai tradotti in erogazioni; del modo contraddittorio di calcolare la distribuzione territoriale delle risorse; del fatto che le risorse comunitarie sono di fatto, da tempo, sostitutive delle spese ordinarie; del modo iniquo e oggettivamente insostenibile con cui vengono assunti i parametri per i trasferimenti dallo Stato alle Regioni.
La prima mossa, quella capace di spostare più in alto il dibattito e il confronto, spetta ai meridionali che hanno il dovere di denunciare i limiti delle politiche nazionali, ma che devono intestarsi con rigore e con forza la denuncia delle loro responsabilità.
Gli alti tassi di disoccupazione, la mortalità d’impresa sono il segnale evidente della necessità di un’inversione a 360 gradi per promuovere un nuovo Mezzogiorno.
In questo contesto esistono le condizioni affinché alcune aree di eccellenza e alcuni centri produttivi di qualità già presenti possano risultare punto di attrazione per ricercatori, imprese ed investimenti. Proponiamo quindi un tavolo di confronto diverso: maggiore assunzione di responsabilità da parte dei meridionali, maggiore capacità autocritica, più forte coerenza nei comportamenti; individuazione comune degli obiettivi e capacità critica di innovare negli strumenti.
L’agenda di lavoro dovrebbe assumere le seguenti priorità: un piano straordinario per il recupero dell’obbligo scolastico, particolarmente accentuato e socialmente disastroso; l’impegno a rafforzare i centri di ricerca, pubblici e privati, ed in generale tutti i soggetti capaci di trattenere ed attrarre giovani intelligenze al sud; una riflessione strutturata sulla finanza locale evitando che interventi indiscriminati azzerino gli elementari diritti dei cittadini in materia di servizi sociali; una verifica del funzionamento e delle esigenze degli uffici periferici delle amministrazioni centrali dello Stato, a partire dalla magistratura e dalle forze dell’ordine; fare della legalità e della sicurezza uno dei cardini delle politiche nel Mezzogiorno e per il Mezzogiorno. La criminalità organizzata è contro la democrazia, la crescita civile e lo sviluppo economico del sud e dell’intero Paese. La legalità “conviene”. Ma perché ciò venga avvertito e praticato da tutti, dai giovani in modo particolare, occorre che la cultura della legalità sia sostanziata dal rispetto e l’affermazione delle regole e dei diritti di cittadinanza, dal funzionamento dello Stato e delle istituzioni in tutte le loro espressioni, dal coinvolgimento della collettività nella vita pubblica, dall’innovazione e dal potenziamento della governance a tutti i livelli; una maggiore attenzione al problema del lavoro e dell’economia sommersa: è difficile immaginare di avere una politica di promozione dello sviluppo che ignori un terzo circa del sistema produttivo. Accanto alla necessaria opera di repressione, occorre sviluppare mirate politiche di promozione, selezione, accompagnamento capaci di consolidare le esperienze “recuperabili”; modificare il sistema di incentivi.
Accanto ad una agevolazione fiscale (ovviamente automatica) da concentrare sull’Irap, occorrerebbero meccanismi di valutazione capaci di individuare i programmi imprenditoriali innovativi; semplificare, per quanto possibile, la procedura del Fesr; individuare alcuni interventi infrastrutturali urgenti e su essi concentrare l’eventuale spesa straordinaria.