Partita complicata, quella che si è appena aperta in Europa. Le prime proposte della Commissione europea non lasciano dubbi. Vi sono tre Paesi che presentano “squilibri eccessivi”: Grecia, Cipro ed Italia. Anche se altri 10 (Bulgaria, Croazia, Francia, Germania, Irlanda, Portogallo, Spagna, Paesi bassi, Romania e Svezia) hanno una salute traballante. La differenza è tra chi ha la polmonite e chi una semplice influenza. Drastico il giudizio sull’Italia: “È giustificata una procedura per i disavanzi eccessivi per il debito”. Sotto accusa non solo il 2018, ma l’intero triennio: periodo in cui il rapporto debito – Pil è destinato ad aumentare.
Si apre ora una fase concitata, in cui le valutazioni tecniche si accompagneranno al grande gioco della politica. Si tratta, infatti, di nominare tutti i vertici delle Istituzioni europee, in un clima di forte divisione, se non di contrapposizione tra i diversi Paesi. Due gli schieramenti principali, ma anche i minori saranno in gradi di giocare la loro partita. Al centro del primo è Angela Merkel, appoggiata dalla galassia del Nord, da sempre tributaria nei confronti della Germania, per effetto delle localizzazioni della grande industria tedesca e per un feeling culturale inossidabile. La contrasta Emmanuel Macron, che può contare sull’appoggio spagnolo e portoghese. Un piccolo nucleo che riflette una possibile alleanza mediterranea, (“la porta aperta” richiamata da Pierre Moscovici) se l’Italia sarà in grado di non isolarsi alla ricerca di una nuova identità minoritaria.
Si parla di politica, ma anche d’economia e di finanza. Ed è, infatti, evidente che il possibile compromesso, che può giustificare una possibile alleanza, passa anche per le cifre del bilancio pubblico. Le cui valutazioni, al momento solo “tecniche” dovranno essere avallate in successivi passaggi con i responsabili politici dei vari Paesi e quindi in un feedback con la stessa Commissione. La quale attende le decisioni, seppure di carattere informale, da parte del prossimo Eurogruppo, già convocato per il prossimo 13 giugno, prima di procedere ulteriormente. Poco più di una settimana per dipanare una complicata matassa, che dovrà vedere impegnati, come un sol uomo, tutti i responsabili della politica italiana. Eventuali divisioni, infatti, non faranno altro che indebolire la posizione negoziale. I nodi del contendere non sono semplici da sciogliere.
La maggior parte dei Paesi nasconde, nell’armadio uno scheletro che non vorrebbe esporre. La Francia presenta dall’inizio del dopo crisi (il 2008) un deficit di bilancio superiore, non solo alle regole del Fiscal compact, ma andato oltre anche i vincoli di Maastricht. Germania, Olanda e Lussemburgo, a loro volta, hanno uno straripante avanzo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti. Infrazione, finora sottovalutata, rispetto alle stesse regole dei Trattati. Nonostante il più rilevante impatto sulla (cattiva) congiuntura europea. Il cui effetto è di gran lunga superiore al possibile impatto che può esercitare l’eccesso di debito italiano. Nel 2017, secondo i calcoli della stessa Commissione, il surplus delle partite correnti dell’Eurozona è stata pari al 3,7 per cento. Per un totale di 453,9 miliardi di dollari. La Germania vi ha contribuito per il 59,3 per cento. L’Italia per il 9,6. La conseguenza è stata una costante rivalutazione dell’euro nei confronti delle altre valute.
Il cambio con il dollaro resta inchiodato a 1.13. Ne sono derivate maggiori difficoltà per le esportazioni, in una fase in cui il commercio internazionale rallenta e la spinta della domanda estera, ai fini della crescita, perde forza. Basterebbero queste semplici considerazioni ai fini della quantificazione del possibile danno. Incidono più gli squilibri finanziari italiani o l’eccessiva prudenza di Berlino? Dove per altro esistono zone diffuse di disagio sociale, come hanno mostrato le recenti elezioni. Soprattutto la crisi dei socialdemocratici: incapaci di assolvere alla loro tradizionale funzione di difesa degli ultimi. Il dato più paradossale è, comunque, quello italiano.
Che si caratterizza, al tempo stesso, per un eccesso di risparmio e per un tasso di disoccupazione ben più alta della media dell’Eurozona. Che si tratti di un dente scoperto, subito camuffato da una protesi provvisoria, è dimostrato dal documento preparatorio (Implementation of the Macroeconomic Imbalance Procedure) che la stessa Commissione ha elaborato in vista della riunione odierna. Ricordando le decisioni assunte dall’Ecofin dello scorso gennaio si sostiene che: “Member States with large current account surpluses should further strengthen the conditions to promote wage growth”. (Gli Stati membri con un elevato surplus delle partite correnti devono rafforzare ulteriormente le condizioni necessarie per promuovere la crescita dei salari).
Si tratta del teorema noto in letteratura come “il comma 22”. Dal romanzo di Joseph Heller, considerato uno dei capolavori della lettura post-moderna. Il trionfo dell’ossimoro. L’insieme di ricette tra loro contrastanti, per cui il risultato, frutto della spinta di forze opposte, alla fine, non può che essere l’immobilità. Il suggerimento indicato ha come presupposto una ripresa della crescita economica. Ma se sono necessari tagli per evitare la “procedura d’infrazione”, quest’obiettivo prioritario diventa impossibile da raggiungere. Si possono comunque aumentare i salari, magari sulla spinta di fattori esterni, come avvenne in Italia negli anni ’70, durante l’autunno caldo? Ci potrebbe pure stare, se non ci fosse un tasso di disoccupazione che supera l’11 per cento. Quel vasto “esercito di riserva”, che riduce la forza degli occupati ed impedisce al sindacato di operare in condizioni ottimali.
La si metta, quindi, come si vuole, ma le indicazioni della Commissione portano ad un unico risultato. Una crescente anemia, destinata a trasformarsi nel tempo, in una prospettiva senza speranza. Non è solo un indirizzo socialmente iniquo ma una richiesta impossibile. Non ci sarà mai nessuno disposto all’estremo sacrificio per compiacere portatori di vecchie teorie, che hanno fatto il loro tempo.