David Cameron e David Wright Miliband: vite parallele, destini paralleli. Anche ambizioni comuni quali leader di partiti che si fronteggiano in un sistema di alternanza nel quale non è prevista la demonizzazione dell’avversario e neppure la sua delegittimazione con strumenti e mezzi illeciti o impolitici. Il primo guida i conservatori: probabilmente vincerà le elezioni politiche della prossima primavera e sarà premier del governo di Sua Maestà. Il secondo è il candidato alla successione di Gordon Brown, del quale è attualmente ministro degli Esteri. Hanno quasi la stessa età: Cameron è nato nel 1966 e Miliband nel 1965. Sono stati eletti tutti e due alla Camera dei Comuni nel 2001. Gli ambienti familiari d’origine non sono identici. Il tory viene da una tradizione di finanzieri, il padre era agente di cambio, il nonno aveva fatto fortuna nel commercio internazionale del grano. Il laburista ha respirato cultura politica fin dalla nascita: figlio del teorico marxista Ralph Miliband, di origine ebreo-polacca, ha studiato filosofia ed economia ad Oxford. Ma anche Cameron si è nutrito di ottimi studi frequentando prima l’esclusivo college di Eton e poi studiando storia, economia e politica anche lui ad Oxford. Definitosi “un moderno conservatore compassionevole”, il probabile futuro primo ministro punta a rinnovare l’universo tories, così come l’allievo prediletto di Blair e Brown cerca di svecchiare il New Labour ridandogli quella vitalità che ebbe quando il partito ruppe con la tradizione social-massimalista e prese a coltivare la “terza via” di Antony Giddens. Sia Cameron che Miliband aspirano ad essere dei “rivoluzionari”. Ecologia, diritti umani, diritti civili, nuova cittadinanza a compimento di processi di integrazione timidi e contraddittori sperimentati fin qui segnano la politica del primo. L’antagonista è già alle prese con l’identità di un partito che non si sa più che cosa sia.
Tanto l’uno che l’altro hanno davanti compiti tutt’altro che semplici. Li aiuta l’età, l’entusiasmo, la passione e la preparazione politica sostanziata da un retroterra culturale non indifferente. Sono a capo di due partiti (tenendo presente che il terzo incomodo, vale a dire il partito liberaldemocratico che potrebbe superare alle elezioni i laburisti) tradizionali nei quali si identifica la società britannica. Si fanno la “guerra” con le armi consentite e sanno che anche il governo più lungo che possono presiedere prima o poi cesserà per fare posto ad un altro governo di segno opposto. E’ la democrazia che, quando funziona, non soltanto produce classi dirigenti all’altezza dei momenti storici, ma anche leader capaci di interpretare i mutamenti sociali, i disagi delle popolazioni, le aspettative civili e culturali.
Cameron e Miliband incarnano il bipolarismo che cerchiamo, ma che in Italia difficilmente troveremo, almeno in tempi ragionevolmente brevi. Non sono dei distruttori, ma degli innovatori. Differenza tutt’altro che irrilevante. Il capo dei tories, nelle prime importanti uscite pubbliche, ha fatto appello all’antica tradizione conservatrice di radicale riforma sociale il cui più eminente esempio resta Disraeli; il capo dei laburisti ossessivamente richiama i suoi a “scoprire” le virtù di un laburismo dinamico e non ingessato. Nessuno li considera “eretici”. Tuttalpiù gli volta le spalle ed offre il proprio consenso ad altre formazioni. Qualcuno da noi pensa che conservatore sia sinonimo di immobilista o, peggio, di reazionario. Cameron, qualche tempo fa, ad un intervistatore che gli chiedeva chi fosse il suo filosofo preferito, rispose di essere scettico rispetto ai grandi schemi utopici e ai grandi piani e di considerarsi totalmente d’accordo con Disraeli quando diceva: “Il partito conservatore dovrebbe essere il partito del cambiamento, ma un cambiamento che segua le maniere, le tradizioni, i sentimenti del popolo piuttosto che un cambiamento secondo un grande piano stabilito a priori”. Questo è realismo. E giustifica il successo che nel corso degli anni hanno avuto i conservatori in Gran Bretagna. Non sappiamo se Miliband abbia compreso, dopo i recenti smacchi subiti dal suo partito, quanto sia importante che il cambiamento si accordi con la struttura della natura umana, come sostiene il filosofo conservatore più in voga in questo momento, Roger Scruton al quale Cameron guarda con grande rispetto.
Se questi sono i profili, sintetici ed essenziali, dei due protagonisti della politica britannica dei prossimi anni, non possiamo fare a meno di considerare come il bipolarismo che incarnano non sia soltanto una sovrastruttura politica, ma un “sentimento” penetrante e diffuso che vale a caratterizzare una democrazia matura la cui essenza non è affidata alle alchimie (come in Italia) ma alla “costruzione” di uomini, mentalità, stili di vita, visioni del mondo. Cameron e Miliband non hanno paragoni da noi perché la loro formazione è diversissima da quella dei leader in circolazione dalle nostre parti. E le scelte politiche che hanno effettuato sono filiazioni di maturazioni avvenute a cavallo tra la società civile che si sono preparati a servire comunque e la società politica quando ne hanno avvertito l’irresistibile richiamo fino ad abbracciare la “politica come professione” in senso weberiano. L’occasionalismo, insomma, che determina il più delle volte le carriere politiche nelle democrazie mediterranee, non s’addice a Paesi dove vige il sistema dell’alternanza, nei quali l’individuazione del leader, e dunque della classe dirigente della quale è espressione, è determinata dalla sua biografia e dai meriti che è in grado di esprimere. I politici, insomma, in un contesto come quello britannico (ma la considerazione vale anche altrove), non si “reinventano”, ma si “sviluppano”. Non a caso Cameron sostiene che “la cosa migliore sia avere un bagaglio di principi e convinzioni che ti spingono, ma è necessario continuare a pensare, svilupparsi, discutere e non rimanere bloccati in una tale fossilizzazione da non poter sviluppare il tuo pensiero”. Insomma, i migliori politici sono quelli dotati di valori chiari, ma capaci di pragmatismo. La Tatcher forse è stata l’esempio migliore al riguardo, e non soltanto per i conservatori.
Poi c’è la questione dello schieramento e del partito che non va sottovalutata. A Cameron e a Miliband non verrebbe mai in mente di stravolgere le loro formazioni sull’onda emotiva di un possibile o più o meno opportunistico “rinnovamento”. Certo, i conservatori e i laburisti di oggi non assomigliano in niente, a parte i principi tenuti per fermi dai primi soprattutto, a quelli di venti o trent’anni fa. Non soltanto perché la società in cui operano è cambiata profondamente, ma in ragione delle mutate esigenze della politica stessa che si è fatta planetaria avendo a che fare con problemi che superano gli ambiti nazionali. Perciò chi si meraviglia di un conservatore ambientalista ha capito poco o niente del mondo in cui vive; alla stessa maniera di chi prova un certo stupore di fronte ad un laburista che ha messo in soffitta l’armamentario assistenzialistico. I cambiamenti necessari, pur legati a valori di riferimento, presuppongono però un’elaborazione culturale ed una continua riflessione, oltre ad un indispensabile confronto con le tematiche più ardue della modernità, al fine di rivitalizzare continuamente partiti che diversamente si cristallizzerebbero in una forma poco attraente fino a respingere i consensi. E nemmeno può essere data l’improvvisazione nel costituire soggetti politici nei quali o vige l’imperialismo carismatico o il rogo su cui far finire i dannati che li hanno guidati per brevi stagioni.
I tories ed il New Labour sono i paradigmi di un bipolarismo compiuto. Leader, classe dirigente, struttura partitica, dispiegamento sul territorio, meritocrazia sono “valori” condivisi da entrambi. In Gran Bretagna “sconci” all’italiana non sono immaginabili. Neppure quando uno dei due partiti finisce sotto l’occhio spietato degli stessi supporter che si sentono magari traditi, non avendo digerito innovazioni che se suffragate dal successo elettorale devono necessariamente essere accettate. Accadde a Tony Blair quando la componente radical-marxista lo dipinse come un liberale continuatore inconsapevole del tatcherismo, tranne poi ricredersi. E’ accaduto a Cameron quando, qualche tempo fa, la rivista conservatrice “Spectator” gli ha dedicato una copertina sulla quale il leader veniva ritratto alla Che Guevara, con tanto di basco e stella blu, il colore dei tories. Il settimanale si chiedeva se Cameron fosse il rivoluzionario tanto atteso dai tempi della Tatcher. Nell’ultimo numero, apparso a metà ottobre, lo “Spectator” non ha esitato ad ipotizzare una nuova era che si starebbe aprendo, l’era di Cameron appunto.
Il bipolarismo è per sua natura dinamico. Nella declinazione italiana è semplicemente confusionario. Perciò non ci piace.