Brutte notizie per la Turchia, che rischiano di peggiorare nei prossimi giorni. Non solo gli Stati Uniti non vogliono addestrare altri piloti per comandare gli F35, i caccia da guerra di ultima generazione che Ankara aveva acquistato, ma la cui consegna è attualmente in stato di congelamento. La Mezzaluna rischia pure, e sarebbe qualcosa di clamoroso, che i sei piloti e i 20 elementi del personale tecnico, che al momento di trovano in training alla base di Luke, a Phoenix, in Arizona, vengano sbattuti fuori dal programma.
LE RAGIONI DELLA MOSSA DI WASHINGTON
La motivazione, è sempre la stessa: l’acquisto da parte di Ankara, del sistema missilistico russo S-400. Le voci a Washington si rincorrono e parlano di un Donald Trump per nulla intenzionato a darla vinta al bizzoso alleato, che rappresenta anche il secondo esercito numerico all’interno della Nato. Il guaio che è dall’altra parte dell’oceano, il suo omologo turco, Recep Tayyip. Erdogan, è convinto di poterlo convincere del fatto che un sistema di attacco americano e un sistema missilistico di difesa russo, possono convivere serenamente sul territorio di uno stato terzo. Che proprio terzo, però non è, vista la presenza della Turchia, seppure a modo sempre più suo, all’interno dell’alleanza atlantica. Tutto questo, a meno di un mese da un incontro, a fine giugno al G20 di Osaka, che dovrebbe essere chiarificatore fra Trump ed Erdogan e che invece è già un mezzo miracolo se non salta.
LA REAZIONE DI ANKARA
Ankara, da parte sua, sta giocando al meglio il ruolo della vittima. Sarebbe stata costretta a ricorrere al sistema missilistico S-400 perché gli americani per lungo tempo si sono rifiutati di fornire i Patriot che avrebbero evitato di bussare alle porte di Mosca. La versione, però, regge poco, perché, da dopo il fallito golpe del 2016, la Turchia alla corte del Cremlino è ospite sempre più frequente e, proprio con Putin, Erdogan ha stretto accordi militari ed energetici particolarmente strategici.
I RUMORS SULLA VICENDA
Tutte cose che irritano Washington e Bruxelles, insieme con gli altri rumors che circolano in questi giorni. Il primo è che una delegazione di militari turchi si trova a Mosca dove ha iniziato l’addestramento per utilizzare il sistema missilistico, segno che proprio di tornare sui suoi passi Ankara non ne ha intenzione. Il secondo è che, dopo i missili, se gli Usa continuano a negare la fornitura di F35, la Turchia dalla Russia potrebbe decidere di comprare anche i caccia Sukhoi Su-57. Il che spiega la decisione presa dagli Usa e il fatto che nei prossimi giorni potrebbe essere inviato un secondo warning. Che però potrebbe fare saltare definitivamente il banco, autorizzando Ankara ad accettare un’altra grossa commessa made in Russia.
IL RUOLO DEI PRESIDENTI
Ormai sembra una gara a chi tira la testata più grossa, dove, alla personalità certo non remissiva di entrambi i presidenti, fa da contorno una situazione geopolitica e un rapporto diplomatico che definirlo delicato è usare un eufemismo. Il presidente Erdogan, però, deve stare attento. I pugni che ha battuto sul tavolo con la Russia per intervenire nella zona di Idlib in funzione anti Assad non hanno portato a nulla. Tirarsi contro completamente gli Stati Uniti di Trump e anche la Nato, nei confronti della quale Ankara è sempre più irrequieta, non significa automaticamente avere un ruolo più indipendente e importante sullo scacchiere internazionale. In più, il numero uno della Casa Bianca può sempre decidere di fare alla Turchia qualche altro scherzo sulle importazioni e la stabilità della valuta, come dell’agosto 2018, che ha provocato uno scossone da cui l’economia della Mezzaluna deve ancora riprendersi.