Confindustria e il ministero dello Sviluppo Economico costituiranno una “task force congiunta” per definire proposte comuni per attrarre investimenti esteri in Italia. Lo ha affermato Giuseppe Recchi, presidente dell´Eni e a capo del Comitato investitori esteri di Confindustria ieri in apertura del convegno di Confindustria ´Più mondo in Italia´ dedicato proprio al tema degli investimenti dall´estero.
“Il Comitato da parte sua – ha aggiunto Recchi – ha già presentato 17 proposte al governo, si tratta di indicazioni di priorità semplici e pragmatiche il più possibile a costo nullo o molto basso per il bilancio pubblico, che potranno produrre effetti potenti per la competitività dell´intero sistema produttivo italiano oltre che per il successo degli investimenti, e da cui il governo può trovare spunti di intervento”.
Nel suo intervento Recchi ha ricordato l´importanza delle imprese estere in Italia, con circa 1,4 milioni di occupati e 500 miliardi di fatturato: “Attrarre gli investimenti esteri è una sfida complessa – ha avvertito – il tema è tra le priorità del nostro Paese. Gli investimenti non vengono per caso, bisogna farsi scegliere. L´Italia dovrebbe essere una calamita, una delle prime scelte per le imprese straniere. I capitali vanno dove c´e´ crescita, dove e´ possibile creare valore. Sono capitali enormi e solo in minima parte vengono da noi. Abbiamo chiesto al governo di ridurre l´incertezza, le imprese hanno bisogno di regole semplici, vista da occhi stranieri l´Italia appare uno strano marchingegno che, malgrado molteplici problemi, complicazioni e ostacoli, riesce a compiere una serie di miracoli industriali”.
“L´obiettivo del governo – ha spiegato Passera, intervenendo sul tema, ieri a Milano, al convegno – è quello di raddoppiare la quota di investimenti esteri che ora pesa appena per l´1% sul Pil».
Questa urgenza è stata richiamata anche dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel suo messaggio per il convegno milanese – letto dallo stesso Recchi – in cui indica in modo specifico l’esigenza di eliminare “persistenti inadeguatezze normative e amministrative» e di «creare un clima favorevole alla ripresa della crescita economica”.
Il quadro non è dei migliori. Il Paese, nella classifica Doing Business della Banca mondiale, ha perso, in un solo anno, quattro posizioni (scivolando all´83° posto) nel ranking di competitività degli Stati. Mentre le imprese a capitale estero, in Italia, oggi occupano 1,2 milioni di addetti, per un fatturato aggregato di circa 450 miliardi di euro.
Numeri insufficienti in termini di stock (nel 2010 erano 337 miliardi di dollari, la metà rispetto ai 674 miliardi della Germania) e di flusso (22 miliardi in entrata nel periodo 2005-2011, lontani dai 37 miliardi della Spagna, i 43 della Germania e i 61 della Francia).
E se in ogni Paese i capitali si concentrano, per tradizione o politica industriale, nelle regioni e nei Laender “locomotiva”, la Lombardia, con i suoi 36 investimenti “greenfield” (ad alta innovazione) per milione di abitanti, nel periodo 2005-2010, cede nettamente il passo ai 42 della Baviera, i 92 dell´area di Madrid, i 99 dell´Ile de France e i 270 del South East inglese.
Investimenti greenfiled che, nel solo perido 2010-2011, si sono più che dimezzati per l´Italia (-52%), mentre Francia e Germania hanno perso in maniera più modesta, rispettivamente, -14 e -1% e il Regno ha addirittura incrementato il flusso del 32 per cento.
Ciò che pesa maggiormente è l´incertezza normativa e fiscale, i tempi della giustizia, la burocrazia, infrastrutture e informatizzazione carenti e le rigidità del mercato del lavoro. Ma se il trend si invertisse, per ogni 10 miliardi di euro addizionali di investimenti si potrebbe generare una crescita del Pil nazionale di almeno lo 0,23 per cento, oltre a dare un´accelerata agli investimenti in ricerca, che sono mediamente 3,5 volte superiori a quelli delle imprese italiane.
Come ha sottolineato Recchi, “La forza di un Paese non si misura da quanti prodotti esporta ma da quanti investimenti esteri è capace di attrarre”.
Secondo Passera un ambito di intervento sarà anche quello fiscale dove “si pone un tema di certezza delle regole, che ha anche a che fare con l´abuso di diritto”. “Allo studio del Governo – ha spiegato – ci sono modalità per cui l´investitore possa portarsi dietro la fiscalità del Paese da cui proviene”.
Passera non esclude però che “si possa aprire il tema di una fiscalità differenziata – come avviene ad esempio in Francia – per favorire lo sviluppo di determinati settori industriali o di ricerca per fare attrazione fino in fondo” .
L´attrazione degli investimenti esteri quindi “deve essere una priorità assoluta – ha concluso il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia –. Abbiamo preparato proposte chiare e concrete, tutte fattibili e realizzabili, che richiedono la concentrazione degli investimenti pubblici su alcune voci per per ridurre l´incertezza, i tempi della giustizia e aumentare la flessibilità”.