La presentazione del volume di Marco Politi “La solitudine di Francesco” è riuscita a rendere conto della complessità del “caso Bergoglio”, un papa che non si può raccontare senza conoscenza della poesia, delle regole del governo delle grandi aziende, della mistica, della teologia e della politica. Forse è così per tutti i papi, forse di veramente nuovo in Bergoglio c’è solo la centralità della poesia, come dice il titolo di un libro intervista con lui, “Dio è un poeta”. Di certo è quello che si è riusciti a fare ieri sera, grazie a tutti gli intervenuti e in particolare modo all’economista Fabrizio Barca e al critico letterario Paolo Mauri, che ha con acume indirizzato la discussione a partire dal confronto tra il papa e il bambino, nella periferia romana, a Corviale, in cui lui ha chiesto al papa se suo padre non fosse andato in Paradiso perché non credeva.
È l’Eens, fuori dalla Chiesa non c’è salvezza, che induce a pensare così. Ma lui era buono… Questo episodio, che colpì tanti, è uno dei molti che ha squarciato il velo sul poeta Bergoglio, sul manager Bergoglio, sul mistico Bergoglio, sul teologo Bergoglio, sul politico Bergoglio, arrivato al Serpentone di Roma per un bambino, per un’idea di governo, per la qualità della sua fede e per tanti altri motivi. L’episodio è posto alla prima pagina del suo libro da Marco Politi, che centra tutto il significato del contesto scrivendo di Corviale: “Qui a Corviale sorge l’incubo di un’utopia di architetti. Volevano creare, negli anni Settanta del secolo scorso, un edificio che fosse in sé una piccola città. Un grattacielo orizzontale con abitazioni, uffici, banche, negozi. Vagamente ispirato a Le Corbusier e alle linee sobrie del modernismo. Ne è venuto fuori un ghetto in cemento lungo un chilometro, alto nove piani, in tre blocchi collegati. Con le vetrate rotte in più punti, l’acqua che invade le scale, gli ascensori spesso non funzionanti, allacci irregolari alle linee elettriche. Un alveare abitato da famiglie con bambini, anziani soli, spacciatori, piccola criminalità…”. Non serve arrivare a dove ci conferma che banche e negozi non sono mai arrivati per capirlo. Corviale così ha legato benissimo la poesia di Dio, la qualità giornalistica di Marco Politi che ha scelto proprio questo episodio per aprire il suo libro, la teologia di Marinella Perroni e la competenza di economista esperto di politiche territoriali di Fabrizio Barca, che ha colpito molti.
Barca ha ricordato che il decentramento dovrebbe cambiare innanzitutto il centro, e poi spiegato che secondo un apprezzato studioso di tecniche di governo delle grandi aziende quando una struttura complessa, pensata per produrre 100, non riesce ad andare oltre quota 20, allora non c’è un singolo correttivo possibile, ma solo la destabilizzazione dell’equilibrio aziendale. Perché è l’equilibrio tra tutte le diverse componenti della struttura che ormai è funzionale a quel livello di produzione e quindi solo destabilizzandolo si può riuscire a modificarlo. Ne scrisse anche, in uno dei suoi libri mai banali, il manager Pier Luigi Celli. È, forse, come dire che serve una nuova equazione aziendale per rimetterla in piedi. Ascoltarlo mentre si pensa e si parla delle riforme di Francesco fa venire qualche idea sul perché padre Lombardi ne abbia citate due che di solito non vengono citate come riforme: la scelta del nome, mai scelto prima, per secoli… e la scelta di non vivere “nell’appartamento”, ma a Casa Santa Marta. Già quella sera in cui è stato eletto, Francesco stava operando per destabilizzare un equilibrio che durava da chissà quanto? Poteri sedimentati e poco studiati, come la gestione dell’accesso all’appartamento e quello dello stesso nome, venivano forse destabilizzati da chi cercava un equilibrio nuovo, più adeguato alle sfide del presente? Padre Lombardi non ha detto così, ma l’insieme della discussione ha richiamato l’attenzione su un tratto che non può non essere valutato. Francesco destabilizza perché sa che il miglior conservatore è il riformatore?
Ecco allora che la discussione non poteva che indirizzarsi verso il titolo del libro: “La solitudine di Francesco”. Politi sa certamente bene, anche perché a suo tempo ne scrisse, che il tema della solitudine del papa venne a lungo affrontato e discusso ai tempi di Benedetto XVI. La solitudine di Francesco è la stessa? Padre Lombardi, che a quel tempo quale portavoce della Santa Sede negò che papa Ratzinger fosse un uomo solo nei palazzi apostolici, senza amici che lo andassero a trovare ad esempio, ha risposto da par suo anche sulla “solitudine” di questo Papa. Le sue riflessioni hanno indotto a riflettere: Francesco può apparirci solo nel mondo della politica che va in altre direzioni sull’accoglienza, o della curia che sembra non seguirlo sul farsi “Chiesa in uscita”, ma chi desidera accoglienza e opera per l’accoglienza, chi desidera una Chiesa in uscita e la vive, non sarà con lui? C’è poi nel fatto stesso che a parlare di questo sia stato lo stesso uomo che parlò di Benedetto quando di lui si ipotizzò una solitudine, un fatto oggettivo che dice qualcosa: quante sono le possibili solitudini di un Papa?
Francesco destabilizza anche i giornalisti, ha nei fatti osservato Lucia Annunziata, perché il suo linguaggio non richiede interpreti, e gli interpreti cercano di complicare quel che dice per conservare il loro ruolo, che ieri era quello di far capire quel che il Papa diceva. Avvolti nel loro desiderio di imporre un argine all’invasore di campo, i custodi dei segreti del linguaggio papale non vedono che la presunta semplicità del linguaggio di Francesco potrebbe essere spiegata nella sua difficoltà interiore, quella che destabilizza per portare più avanti l’equilibrio, l’equazione vigente. Ancorando a questa lettura basata sulla parola “destabilizzazione” usata da Fabrizio Barca, si può dire che Franco Frattini, il padrone di casa che ha aperto i lavori, abbia colto nel segno: Francesco destruttura anche il concetto e l’idea di solitudine.
Il mondo della politica pensa di poterne prescindere e lui appare solo, ma forse lo è perché è l’unico leader globale, e così la sua solitudine ci fa sentire meno soli anche se non siamo capaci di capire che ha ragione su tante cose che non arriviamo a vedere o capire come lui.