Magari bastasse schivarla, la procedura di infrazione. Evitato un colpo, ne può sempre arrivare un altro, dai mercati per esempio. Sarebbe un errore, dice Innocenzo Cipolletta in questa intervista a Formiche.net, illudersi che evitare la multa dell’Ue possa bastare. Per l’economista per anni ai vertici di Confindustria in veste di direttore generale e oggi alla guida di Assonime, l’associazione delle spa, bisogna allargare lo spettro d’azione se si vuole capire dove e come mettere le mani nei nostri conti traballanti.
Cipolletta, l’Italia pochi giorni fa ha incassato un primo assaggio di procedura di infrazione per deficit eccessivo. Una multa che può costarci miliardi e sfiducia dai mercati…
Non si tratta solo di schivare una multa, ma si tratta di rompere il circolo vizioso formato da una politica fiscale incerta e ondivaga che genera un aumento dello spread e quindi del costo del debito pubblico che a sua volta genera nuovo disavanzo, finendo per comprimere la spesa pubblica a favore degli italiani. L’Europa ha fatto i primi passi verso la procedura d’infrazione per debito eccessivo perché vuole tutelare la stabilità del sistema europeo. Ma noi dobbiamo anche pensare alla stabilità del nostro Paese e quindi dovremmo arrestare questo circolo vizioso.
Evitare la procedura insomma può non bastare…
Può sembrare paradossale, ma oggi se l’Italia avviasse una politica credibile di riduzione del debito pubblico, ci sarebbe un calo dello spread e quindi maggiori risorse pubbliche da dedicare ai bisogni degli italiani. Se facciamo l’inverso, ci impoveriamo sempre di più.
I mercati però sembrano ancora fidarsi di noi mentre l’Europa ci chiede una correzione dei conti. Chi è il vero giudice dei nostri conti?
Tutti e due. Come ho già detto, i mercati sono autori di un circolo vizioso che finisce per strangolarci. Era lo stesso circolo vizioso che avevamo quando c’era la lira: la svalutazione alzava l’inflazione che a sua volta generava un forte aumento dei tassi di interesse che creavano nuova spesa pubblica. A questo punto lo Stato doveva aumentare le imposte, il che, assieme alla maggiore inflazione, portava a una nuova svalutazione e il circuito perverso riprendeva a girare. Per questo è del tutto errato pensare di uscire dall’euro per riguadagnare sovranità. Un Paese indebitato ha perso sovranità e può solo ridurre il suo debito se vuole dare una speranza ai suoi cittadini.
Tutto il male possibile. I mini-Bot non servono affatto pagare i debiti dello Stato perché nessuna impresa li accetterebbe con la certezza di perdere denaro perché non avrebbero scadenza e dovrebbero essere messi sul mercato e quindi si deprezzerebbero subito. Preferirebbe scontare i crediti che vanta nei confronti dello Stato. Ma poi questa misura sarebbe comunque un ulteriore aumento di debito, quindi è del tutto sbagliata.
E allora come pagare i debiti verso le imprese. Parliamo di miliardi…
Se lo Stato vuole saldare i suoi debiti, deve prima di tutto riconoscerli e, quindi, aumentare il suo debito complessivo, così emetterà bot normali e pagherà in euro i creditori. Se poi la creazione di mini-Bot fosse un pretesto per creare una moneta parallela, allora sarebbe illegale, come ha ben detto Draghi, oltre che un imbroglio verso i cittadini.
Lei è stato per molti anni ai vertici di Confindustria. Non ha l’impressione che questo governo talvolta tenda a snobbare le richieste del mondo produttivo, che da anni chiede un taglio del cune o fiscale e una spinta agli investimenti?
Credo che questo governo sia prigioniero del suo cosiddetto contratto che è una somma delle promesse elettorali. Non ho nulla contro il fatto di rispettare le promesse fatte in campagna elettorale, a condizione che esse siano compatibili con il quadro economico. Ma bisogna ricordarsi che il governo ha responsabilità verso tutti i cittadini e non solo verso coloro che li hanno eletti che rappresentano comunque una minoranza degli italiani, dato che il tasso di partecipazione alle elezioni si riduce di anno in ann. Questo pone ogni governo nella necessità di pensare al Paese e non solo ai propri elettori, senza confondere gli uni con gli altri. E poi…
Poi?
Poi, si sa, le imprese non votano e quindi i governi populisti finiscono per essere disinteressati alle esigenze del mondo produttivo. Salvo poi rendersi conto che il benessere dei cittadini dipende anche da come va l’economia.
Cipolletta, tre giorni fa il ceo di Intesa, Carlo Messina, ha lanciato una proposta per la riduzione del debito: l’idea è creare dei fondi immobiliari territoriali (fiscalmente agevolati con una normativa simile a quella dei Pir) ai quali potrebbero essere ceduti immobili dello Stato, delle Regioni e dei Comuni. Le piace?
È un’idea che circola da tempo e che alla fine del secolo scorso ha dato luogo a processi di cartolarizzazione di parte degli immobili pubblici con risultati non esaltanti. Concordo con la proposta, ma non è di facile esecuzione.
Perché?
Molti degli immobili hanno vincoli che ne riducono il valore e li rendono poco appetibili al mercato. Andrebbero sciolti alcuni nodi prima. Voglio comunque aggiungere che ipotesi di finanza creativa, come questa, non esimono affatto da una politica di riduzione continua del disavanzo pubblico per i prossimi anni. Se per caso si usassero i proventi di una vendita degli immobili per finanziare altra spesa pubblica corrente, finiremmo per ritrovarci peggio di prima, senza più un patrimonio pubblico e con un debito nuovamente in salita. Sarebbe un vero dramma.