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Quale postura con l’Iran? Il dilemma di Washington

L’amministrazione Trump a questo punto ha un problema sostanziale: la vicenda delle due petroliere, per cui il segretario di Stato, Mike Pompeo, ha accusato l’Iran, dimostra che Teheran su quel tratto di mare strategico lungo tutto il Golfo Persico ha possibilità di muoversi come meglio crede. È in vantaggio, e sostanzialmente il sistema di sicurezza nel Golfo è collassato.

IL GOLFO PERSICO

Se sono veramente stati gli iraniani a piazzare le mine sui due cargo l’altro giorno — e su altri quattro un mese fa — e se sono stati così abili da non farsi scoprire, e sono stati così rapidi a cancellare le prove che uno di quegli ordigni inesplosi avrebbe potuto portare con sé (come gli Usa rivendicano di aver scoperto con un video diffuso pubblicamente), allora significa che i barchini dei Pasdaran sono molto più efficaci dello show of force con cui gli americani hanno mostrato i muscoli inviando una portaerei nell’area, o meglio hanno amministrato la sicurezza nell’area, attraverso basi diffuse in tutta la regione mediorientale. Da notare che l’attacco di giovedì è avvenuto davanti all’Oman mentre la “USS Lincoln” — a cui il Pentagono a inizio maggio ha anticipato il dispiegamento del Golfo per creare deterrenza verso l’Iran — era da due giorni alla fonda (con parte dell’equipaggio in libera uscita) a Duqm, qualche centinaio di chilometri a sud del luogo dell’attacco, là dove l’Oman s’affaccia nel Mar Arabico — la nave, e parte del suo gruppo da battaglia, hanno ripreso il mare proprio giovedì.

L’ESEMPIO DEL 2016

Superiorità tattica gli iraniani l’avevano dimostrata già nel 2016, quando con un’azione avventata ma fruttuosa presero in ostaggio l’intero equipaggio di una motovedetta dei Marines in panne a cavallo tra le acque iraniane e quelle internazionali. L’area era più o meno la stessa interessata dai fatti di giovedì, e anche in quel caso né la flotta statunitense sul posto (in Bahrein c’è l’hub della Quinta) né quella degli alleati americani (per esempio Arabia Saudita ed Emirati, che sono lì con mire di controllo geopolitico del quadrante molto superiori alle loro capacità militari) erano stati in grado di anticipare i barchini iraniani. Che erano arrivati, avevano abbordato i Marines, li avevano portati a bordo, ripresi in pose umilianti diffuse su media e account, per poi accettare le richieste di rilascio americane. E nel 2016 l’amministrazione che governava Washington era la stessa che l’anno prima aveva permesso la riqualificazione internazionale dell’Iran costruendo l’accordo con cui Teheran accettava di congelare il proprio programma nucleare in cambio del sollevamento delle sanzioni che ne strozzavano l’economia. Ora Donald Trump ha portato gli Usa fuori dall’accordo e le sanzioni sono state re-inserite e rafforzate, e a questa pressione si dice siano legate le provocazioni con cui l’Iran cerca di mettere la situazione sotto stress test. E da Teheran arrivano voci minacciose a proposito di un’uscita dal sistema multilaterale dell’accordo, che teoricamente avrebbe dovuto restare in piedi pure senza Usa, ma nei fatti è indebolita al punto di collassare.

L’IRAN NON ACCETTA IMPOSIZIONI ESTERNE

L’insegnamento che esce dai fatti di giovedì è evidente: l’Iran sovranista non accetta imposizioni esterne (sulla limitazione del suo export petrolifero e petrolchimico, o sui paletti che gli Usa e gli alleati regionali vorrebbero mettere attorno ai suoi interessi geopolitici). E rafforza la diffusione di questo messaggio con quelli che sembrano successi su scontri a bassa intensità. Operazioni asimmetriche su cui può giocare vantaggi che in uno scontro aperto non avrebbe minimamente. Tra l’altro, una delle superiorità sta nel negare certe azioni, aggiungendo ulteriore caos. E dunque, quello che gli insider raccontano ai media americani: c’è un momento di consultazione confusa su come rispondere a queste provocazioni — sempre data per assoluta l’accusa di Pompeo, che però ha fornito poche prove e dettagli controversi (per esempio: si parla di mine magnetiche usate per danneggiare le petroliere applicate da un’incursione subacquee, ma nell’unica foto fornita si vedono i fori è quella che potrebbe essere una mina ben al di sopra del punto di galleggiamento).

UNA POSSIBILE SOLUZIONE

Un’idea già in fase beta è questa: far scortare le petroliere dalle navi da guerra delle Quinta Flotta. Qualcosa che ha già un riferimento operativo: la missione anti pirateria nelle acque della Somalia. Attività che creerebbe un sistema di deterrenza profondo: sarebbe davvero improbabile per chiunque — sia in superficie che sott’acqua — superare il sistema di protezione creato da un cacciatorpediniere, a meno di non volerlo attaccare e scatenare, in quel caso sì, un conflitto aperto. Ma sono gli iraniani, anche le parti più aggressive e reazionarie degli apparati del potere interni alla Repubblica islamica, i primi a non volerlo. E nemmeno gli Stati Uniti sembrano interessati: Trump ha più volte detto di non cercare una guerra o un regime change a Teheran.

UN DIBATTITO URGENTE

Però la Casa Bianca ha messo l’Iran in guardia, sebbene non sia ben chiaro come intenda affrontare questa guerra ombra contro Teheran. Girano anche voci su un nuovo rafforzamento militare, con l’invio di altre seimila unità in Medio Oriente, distribuite tra Army, Navy e Air Force, con rinforzi che riguarderebbero anche nuovi squadroni di bombardieri, sottomarini e batterie Patriot. Sarebbe quello che vuole il CentCom (il comando regionale), sebbene finora ne abbia ottenuti solo 1500 — nella realtà i comandanti americani ne richiedevano ventimila. Il dibattito, come scrive in un pezzo informato il New York Times, è “urgente”: anche perché, stando a CNN e Fox News, sembra che dallo Yemen, il gruppo di ribelli Houthi che gli americani considerano un proxy iraniano, abbia colpito (“abbattuto”) un Reaper statunitense che raccoglieva informazioni di intelligence (probabilmente da passare ai sauditi, nemici dell’Iran, che sul suolo yemenita combattono i ribelli che hanno rovesciato il governo amico come specchio dello scontro con Teheran). E il giorno delle due petroliere avrebbero provato a colpirne un altro sopra l’Oman.

(Foto: US Navy)


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