ATENE- Il rischio c´è ed è concreto: la destabilizzazione continentale, contagiosa e irreversibile. Domenica la Grecia del quasi-default è chiamata alle urne per rinnovare il parlamento. Al nastro di partenza ben 32 liste, con le “ali” in netto progresso: a destra i neofascisti del Crisì Avghì, a sinistra i democratici di Kammenos e i comunisti di Syrizae Kke. Ma è il bluff della vecchia politica a spaventare cittadini ed elettori che, come in un brutto sogno, non vedono la fine del tunnel né scorgono all´orizzonte un Milziade che, come a Maratona, con una geniale intuizione, trascini il paese fuori dalle sabbie mobili della corruzione. In quanto gli stessi che chiedono di essere legittimati a governare nella maggior parte dei casi sono i medesimi amministratori che hanno prodotto i conti in rosso attuali.
Sul fenomeno“neofascitellenico” la Bbc ha dedicato un recente reportage giocando sul nome del partito Chirì Avghì, che in greco significa Nuova alba. Il corrispondente Mark Loouen scrive che sono in molti a ritenere che gli estremisti ultra-nazionalisti, in questa situazione di emergenza, rappresentino il lato più umano, per sostenere le classi più svantaggiate. E, di conseguenza, guadagnare consensi. “Per quale motivo non dovrei votarli?”, si chiede un pensionato76enne malato di cancro, residente in un quartiere depresso di Atene, dove è nettamente aumentata la criminalità, spesso causata da una fortissima presenza di immigrati.
Ma le intenzioni di voto a destra, che un sondaggio di ieri attestano al 7% (che porterebbe almeno 13 deputati a sedere nella Voulì), non sono figlie solo di ritorni veteroideologici o nostalgismi pericolosi, bensì della rabbia del popolo greco. Che non sembra intenzionato a ridare il proprio voto ai due maggiori partiti che hanno prodotto lo sfacelo attuale: i socialisti del Pasok e i conservatori di Nea Democratia, guidati rispettivamente dall´ex ministro dell´economia Evangelos Venizelos e da Antonis Samaras, succeduto al premier Kostas Karamanlis, protagonista di una stagione governativa choccante. Quella post Olimpiadi per intenderci, con gli scandali Siemens e Vatopedi come inquietante cornice, con gli approvvigionamenti di armi dalla Germania, con il caso di un sottomarino acquistato nonostante un grave difetto di fabbricazione (pendeva da un lato), con gli indici economici in discesa di cui nessuno ha parlato prima del punto del non ritorno.
É dalla fine della dittatura militare dei colonnelli che la parola destra non ha avuto alcun eco in Grecia, e oggi riappare sulla scena politica per un´evidente rottura sistemica e perché i cittadini sono allo stremo. Entro il prossimo mese di settembre, così come imposto dal piano della troika, altri 150mila dipendenti pubblici verranno licenziati; oggi i medici ospedalieri guadagnano 1.200 euro, un poliziotto prende 800 euro, le pensioni minime sono precipitate a 250 euro e i suicidi figli della crisi aumentano ogni giorno. Si aggiunga che l´Iva al 23% rende proibitivo riempire il carrello della spesa. La domanda che la gente per strada si pone è se i sacrifici imposti dalla troika servano a qualcosa: per usare le parole di un candidato del partito comunista greco “noi diciamo chiaramente che non si strappa il paese solo per restare nell´euro” promette.
E sono in molti a prospettare il rischio di una piazza di nuovo infuocata un minuto dopo lo spoglio delle schede domenica sera, quando si conosceranno i nomi di vincitori e vinti. Uno scenario che fa dichiarare ai candidati di Chrisì Avghì che la Grecia sta morendo, sotto i colpi degli immigrati che l´hanno invasa, dei politici corrotti che l´hanno governata, e dei banchieri che le stanno succhiando il poco sangue rimasto. “Siamo nazionalisti greci e fieri di esserlo” è il loro slogan. Il movimento fa paura soprattutto ai grandi partiti. I conservatori di Nea Democratia puntano tutto sul blocco politico antiprotesta, mentre i socialisti devono guardarsi le spalle dalle sei forze di sinistra che potrebbero rosicchiargli molti voti: i comunisti del Kke, Syriza, Sinistra democratica e tre microformazioni nate dalla scissione del Pci ellenico. E con il probabile exploit degli Indipendenti, i primi a denunciare in Parlamento le condotte di chi non ha vigilato sui bilanci ellenici, gli stessi che molti analisti individuano come quelli che oggi si ripresentano per chiedere la fiducia degli elettori.
Ecco l´assurdità della Grecia: perché al di là del colore degli schieramenti, dei programmi elettorali, ciò che spaventa la popolazione è che tutto cambi affinché nulla cambi, come in un incubo gattopardesco su un “palco” denso di storia e civiltà millenaria, che oggi sta affondando sotto i colpi di una classe dirigente corrotta e senza scrupoli. La rivoluzione democratica nella Grecia che ha inventato la democrazia ci sarà solo se gli amministratori che hanno prodotto la vergognosa situazione attuale si faranno da parte. Forse anche a questo avrebbe dovuto pensare la troika che, ormai, è di casa nei ministeri ateniesi.
Francesco De Palo
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