Per rendere davvero effettiva l’uguaglianza di genere, l’Alleanza Atlantica ha bisogno non solo di procedere nell’attuazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite su questo tema, ma anche di rendere le donne parte effettiva, centrale e costante dei processi decisionali.
A crederlo è Clare Hutchinson, rappresentante speciale della Nato per le donne, la pace e la sicurezza, sentita a margine di un convegno a Villa Wolkonsky – residenza dell’ambasciatore britannico in Italia (oggi Jill Morris) – dal titolo “Women in Nato”.
“Non si tratta solo di aumentare il numero delle donne”, ha spiegato in una conversazione con Formiche.net, “ma di far sì che la gender equality diventi normale nel framework in tutto quello che facciamo”.
Ms. Hutchinson, che cosa è cambiato nelle azioni della Nato verso l’uguaglianza dei genere dal primo Piano d’azione su donne, pace e sicurezza nel 2007?
Abbiamo rivisto il piano nel corso degli anni. La sua nuova versione è arrivata l’anno scorso, nel 2018, ed è stata approvata dai capi di Stato e di governo durante il summit a Brussels. Introduce tre principi: inclusività, integrazione e integrità. Tre principi che sono basati su standard internazionali delle risoluzioni ‘Women, Peace and Security’ della Nazioni Unite – ad esempio la 1325 – che mettono assieme la nostra visione collettiva di come la Nato implementerà questi strumenti, come la integrerà nelle nostre policy, i nostri programmi e le nostre attività, per essere parte del lavoro delle risorse umane, della public diplomacy, dei piani di difesa. L’inclusività è molto importante per avere donne sia sul piano operativo, sia politicamente. Questo apre la strada anche all’integrazione. L’ultimo principio è l’integrità, che riguarda il modo in cui tutto ciò viene implementato, ad esempio combattendo lo sfruttamento e gli abusi sessuali, che non risparmiano nessuna società o organizzazione.
Le donne hanno un ruolo rilevante nelle situazioni di conflitto e post-conflitto, anche nei processi decisionali. In che modo la Nato supporta tutto ciò nelle sue operazioni?
Una delle aree fondamentali dei processi di pace e sicurezza è far sì che le donne abbiano voce – dalla società civile ai ruoli di leadership – in modo da integrare quello che pensano in quello che facciamo. Per farlo è importante garantire la disponibilità di competenze di genere per consigliare i comandanti.
Come portare avanti le attività di uguaglianza di genere con gli sforzi di deterrenza e difesa, così come con quelli di Projecting Stability?
Uno dei problemi da affrontare è far capire che cos’è la prospettiva di genere. Non si tratta solo aumentare il numero delle donne, ma di far sì che la gender equality diventi normale nel framework in tutto quello che facciamo. Bisogna porre attenzione alla condizione delle donne sul campo, ma non solo. Dobbiamo fare di più in termini di addestramento e capacity building. Questa è una responsabilità di tutti, non solo dei gender advisor o delle donne.
Vede, in futuro, un ruolo maggiore per le donne nell’Alleanza?
Assolutamente. Siamo veramente sulla buona strada. Abbiamo mostrato progressi, anche se ovviamente abbiamo ancora molti da compierne. Ma abbiamo volontà politica, abbiamo leadership – la prima vice segretaria generale donna, Rose Gottemoeller -, abbiamo più donne ambasciatrici di quante non ve ne siano mai state, abbiamo capi della Difesa che sono donne, e ce ne saranno sempre di più tra gli alti gradi. Soprattutto, è importante che il ruolo delle donne nella Nato, ma anche nella società, rifletta come rappresentanza la loro proporzione nella popolazione dei nostri Paesi. Questo è essenziale per affrontare i processi trasformativi e le sfide in modo equo e appropriato.
A proposito di sfide, una delle minacce più insidiose per la Nato, oggi e nei prossimi anni, è quella ibrida. C’è una carenza diffusa di esperti in cyber security, e in particolare tra le donne. L’Alleanza pensa di avviare programmi specifici per colmare questo doppio gap di genere e di skill?
Sì, ci sono molte aree in cui è necessario uno sforzo ulteriore per affrontare le minacce emergenti e asimmetriche, ed è necessario che le donne siano completamente coinvolte nel loro contrasto. Le donne nella cyber security sono già presenti, forse sono ancora poco visibili, ma stanno crescendo esponenzialmente. Sicuramente abbiamo, più genericamente, bisogno di maggiori donne impegnate in discipline Stem (Science, Technology, Engineering e Math, ndr). Per fare ciò abbiamo bisogno di maggiore comunicazione e formazione mirata già durante le scuole.
Come giudica la sensibilità delle Forze armate italiane nei confronti dell’agenda Women, Peace and Security?
L’Italia è un sostenitore incredibilmente forte di questa agenda. È stata una delle prime nazioni a farlo nel quartier generale della Nato, per molti anni. Ha mostrato una ricettività e un’apertura notevole verso queste istanze e spero che continuerà a farlo anche in futuro. Roma ha mostrato grande leadership in queste aree, anche grazie a delle sue consolidate best practice.
Qual è il modo migliore per rafforzare il piano d’azione della Nato nel 70esimo anniversario dell’Alleanza?
C’è bisogno di leadership femminile, come già detto, ma anche di risorse. Servono soldi per implementare i piani d’azione a livello nazionale e collettivo, ma servono anche solide competenze. Tutto ciò serve a raggiungere l’uguaglianza di genere e, così, a elevare la sicurezza di tutti.