Matteo Salvini parla da Villa Firenze, la sede dell’ambasciata italiana a Washington. Dopo aver incontrato il segretario di Stato Usa Mike Pompeo traccia un primo bilancio della sua due giorni americana. Il messaggio è inequivocabile, il vocabolario pure. L’Italia, dice il vicepremier, vuole essere il primo interlocutore degli Stati Uniti in Europa. Per farlo deve mettere una toppa a qualche sbandata di troppo del governo gialloverde negli ultimi mesi che alla Casa Bianca trumpiana non è piaciuta. Anche a costo di prendere le distanze dall’alleato grillino. Succede sul caso aperto degli F-35, che da sempre crea subbugli nel Movimento. Salvini è perentorio: “Gli accordi sottoscritti non si possono ritrattare, investire nella ricerca e nella forza lavoro italiana è utile e sano”.
RIMORSI CINESI
Il dossier cinese, come da aspettative, ha occupato gran parte delle conversazioni americane. Quel memorandum of understanding sulla nuova Via della Seta firmato dal premier Giuseppe Conte con il presidente Xi Jinping nella sua visita romana di marzo non è andato proprio giù a Pennsylvania Avenue. Così Salvini corre ai ripari. “Il business è business – esordisce di fronte ai cronisti – ma fino a un certo punto”. Bene la crescita delle aziende italiane all’estero, purché “non ci siano intromissioni di Paesi non democratici nelle nostre infrastrutture fondamentali, dalla tecnologia all’energia alla comunicazione”. Un riferimento neanche troppo velato alla diatriba sul 5G a Huawei che vede gli americani guidare una coalizione internazionale intenta a isolare l’azienda di Shenzen. In Italia è ancora in lizza per implementare la banda larga. “Stiamo raccogliendo elementi per valutare in base ad evidenze” svicola Salvini.
LA STRATEGIA RUSSA DI SALVINI
Quello cinese non è l’unico nodo spinoso in politica estera. Altre vicende imbarazzano il governo italiano di fronte all’alleato d’oltreoceano. La storica vicinanza della Lega salviniana alla Russia di Vladimir Putin è una di queste, specie ora che l’amministrazione Usa è tornata ad essere assertiva contro Mosca. Salvini si inventa politologo, e dice di avere un piano. Il diritto internazionale va rispettato, precisa a scanso di equivoci, ma è “meglio riavvicinare al sistema di valori occidentale Mosca piuttosto che lasciarla nelle braccia di Pechino”. Ancora una volta i cinesi: “Non regaliamo la potenza russa alla Cina”.
L’IMBARAZZO VENEZUELANO…
Altro dossier spinoso: la crisi venezuelana. Il ministro dell’Interno rivendica il netto allineamento della Lega alla linea atlantica, e lancia una frecciatina agli alleati pentastellati: “Fosse stato per me Guaidò sarebbe stato riconosciuto, per fortuna l’intero governo ha capito che sostenere un dittatore criminale come Maduro non è utile a nessuno”.
…E QUELLO IRANIANO
Poi viene l’Iran, vera polveriera per l’amministrazione Usa dopo la recente escalation nello stretto di Hormuz. Poco importa che l’Italia abbia solide e radicate relazioni con Teheran. Per Salvini “la posizione italiana è già cambiata, nessuno nel 2019 si può permettere di voler cancellare uno Stato democratico come Israele dalla terra, finché rimarrà questo sospetto non si potranno avere relazioni normali”.
STALLO LIBICO
Infine la Libia. Con Pompeo nessun accenno alla “cabina di regia” Italia-Usa promessa da Trump a Conte nella sua visita nel luglio 2018, rimasta poi senza seguito. Salvini non si sbilancia. “Sosteniamo una soluzione pacifica che non prevede un solo vincitore o sconfitto, ma tutti intorno al tavolo”. Non risparmia però l’ennesima stoccata all’Eliseo di Emmanuel Macron: “qualcuno in Europa, penso ai francesi, ha creduto che un intervento militare di Haftar fosse risolutivo, così non è stato”.
BARRA DRITTA SUI CONTI A BRUXELLES
Non solo Parigi. Anche Bruxelles, come da copione, è costantemente nel mirino del leghista. “L’ostinazione dell’Ue per vincoli, tagli e limiti agli investimenti non aiuta” dice il vicepremier. Di questo ha parlato con Pompeo, e con il resto degli interlocutori a Washington DC. L’Italia non farà un passo indietro nello scontro con la Commissione Ue, con buona pace della procedura d’infrazione. L’obiettivo numero uno, ora che le elezioni europee hanno di fatto consegnato Palazzo Chigi alla Lega, è la flat tax. Inevitabile guardare alla riforma fiscale trumpiana, di cui Salvini ha parlato a Villa Firenze con il guru anti-tasse e president dell’Americans for Tax Reform Grover Norquist. “È questione di vita o di morte, ho sentito Conte e si farà – taglia corto Salvini – la riforma di Trump sulle imprese ha messo un carburante incredibile nella crescita”. Da dove prendere i fondi? “Non lavoriamo al taglio degli 80 euro – dice lui ai cronisti – ci sono diverse soluzioni allo studio, può essere ridiscusso il sistema delle detrazioni ma prima vanno tagliate le tasse”.
IL COMMENTO DI BOZZO (UNIFI)
La conferenza di Salvini a Villa Firenze parla chiaro. La Lega, e di conseguenza il governo italiano, vuole proseguire sulla linea filo-atlantica. Semplice coerenza o tattica politica in vista di un autunno caldissimo a Bruxelles? Più la seconda per Luciano Bozzo, professore di Relazioni Internazionali all’Università di Firenze. “La linea sembra essere quella di Giancarlo Giorgetti – spiega a Formiche.net – la Lega si allontana da certe posizioni assunte in passato”. Poca strategia, tanta convenienza, sentenzia il professore. “Prevale una valutazione tattica sul rapporto con i Cinque Stelle in vista del futuro del Paese”. L’endorsement americano lancia Salvini verso Palazzo Chigi? Forse no, dice Bozzo, ma certamente Salvini “di quell’endorsement ha bisogno, e può tornargli utile per tracciare una linea di divisione con i Cinque Stelle”. Meno utile invece per la battaglia europea sui conti. In quell’occasione, chiosa scettico il docente, “l’endorsement di Trump serve più in vista di un Italexit che per ricucire i rapporti con Bruxelles”.