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Per la stampa americana Salvini è il Trump italiano. Ecco perché

La recente visita di Matteo Salvini a Washington, dove ha incontrato – tra gli altri – il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, e il vicepresidente, Mike Pence, ha suscitato un certo interesse nella stampa d’oltreoceano. Non solo per la visita in sé (e per i suoi risvolti) ma anche per la figura dello stesso vicepremier italiano.

L’EDITORIALE DEL WASHINGTON POST

Già domenica scorsa, il Wall Street Journal ha dedicato al ministro dell’interno un editoriale significativamente intitolato: “Lo strangolamento italiano dell’Europa”. L’articolo è principalmente dedicato allo scontro in atto tra Roma e Bruxelles sul tema della riduzione fiscale. Una questione che è stata del resto al centro proprio del viaggio di Salvini: non solo il leader della Lega ha sempre mostrato infatti di apprezzare la riforma delle tasse approvata negli Stati Uniti dal Partito Repubblicano nel 2017, ma ha sempre dichiarato di volerla adottare come modello per uno shock fiscale da attuare nel nostro Paese. Si tratta, del resto, di un tema ricorrente, rispetto a cui Salvini sta comunque battendo di recente con maggiore intensità, forte soprattutto del risultato elettorale ottenuto lo scorso 26 maggio alle elezioni europee. In questo contesto, l’editoriale del Wall Street Journal strizza chiaramente l’occhio al ministro dell’Interno, condividendo di fatto la sua ostilità verso Bruxelles. Non a caso, vi si legge: “L’Europa dovrebbe dare a Salvini e ai suoi partner di governo la possibilità di progettare un bilancio per il 2020 a favore della crescita – e Bruxelles non dovrebbe sorprendersi se una sfortunata battaglia sul bilancio con Salvini dà la spinta agli argomenti euroscettici italiani. L’orribile decennio della Grecia avrebbe dovuto insegnare a Bruxelles che l’inferno di austerità degli aumenti delle tasse, legato a una rapida riduzione della spesa, non può essere l’unica combinazione di politiche accettabile”.

L’ANALISI DELL’ATLANTIC

L’analisi che invece ha proposto ieri The Atlantic risulta di natura maggiormente politica. Secondo la testata, Salvini rappresenterebbe un processo di “trumpificazione” del Vecchio Continente. In particolare, tra i principali punti di convergenza con l’attuale presidente americano figurerebbe la linea dura sull’immigrazione. Più in generale, secondo il magazine americano, con questa visita il vicepremier italiano avrebbe ottenuto risultati tanto in politica estera che interna. “La visita a Washington – si legge –  aiuta a proteggere il potere di Salvini a casa e contribuisce alla sua immagine di statista forte e responsabile”. Del resto – prosegue The Atlantic – la visita del ministro italiano nella capitale statunitense si inserirebbe nella scia dei vari “uomini forti” che più o meno recentemente Trump ha accolto alla Casa Bianca. “Sebbene il protocollo istituzionale impedisca a Salvini di incontrare formalmente Trump – come vicepremier, incontrerà la sua controparte, Pence – la visita pone Salvini più che simbolicamente in compagnia di altri “uomini forti” che hanno visitato la Casa Bianca quest’anno: l’ungherese Viktor Orbán e il brasiliano Jair Bolsonaro”.

SALVINI COME TRUMP

A sottolineare la stretta vicinanza tra Salvini e Trump ci ha pensato anche, venerdì scorso, il Washington Post, secondo cui “se c’è qualcuno in Europa Occidentale che ha una somiglianza politica con Trump, quello è Matteo Salvini”. L’analisi del quotidiano mette in risalto le analogie tra i due leader: non solo la comune visione su alcuni dossier programmatici (a partire, nuovamente, dalla stretta migratoria e dai temi fiscali) ma anche in termini di leadership e utilizzo dei mezzi di comunicazione. Certo, prosegue il Washington Post, Italia e Stati Uniti hanno attualmente qualche significativa divergenza (dai rapporti con la Cina alle spese per la Nato). Eppure “l’Italia ha evitato l’acrimonia e la critica pubblica che ha caratterizzato le relazioni di Trump con la Germania, la Francia e altri alleati di peso”. Ciononostante, secondo il Washington Post, Salvini non può essere considerato un “clone politico” di Trump. Non solo perché tratta prevalentemente di immigrazione ma anche per le sue relazioni cordiali con la Russia: “qualcosa che potrebbe non infastidire Trump ma che va contro i desideri di alcuni funzionari dell’amministrazione”.

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