Diciamo tutti la stessa cosa quando parliamo di democrazia? Davvero c’intendiamo tra di noi, oppure sentiamo il bisogno di precisare il significato delle parole che usiamo – specie se hanno un peso politico –, magari aggiungendo qualche aggettivo ben calibrato, che connoti il senso che vogliamo dare al termine in questione rispetto a come lo intendono gli altri? Per esempio, anche noi distinguiamo tra un populismo buono e un populismo cattivo? E quando discutiamo attorno alla libertà, che è l’ideale fondamentale d’ogni impegno politico degno d’esser considerato tale, stiamo attenti alle declinazioni che ne scaturiscono, senza confondere un programma liberale con una concezione libertaria e men che meno con una visione libertina?
IL CONVEGNO SU STURZO
Solo chi ancora vuol credere, o far credere, che non esistono più né destra né sinistra e chi ha a tedio un centro capace di segnare innanzitutto i confini che permangono tra lui e le altre due sponde politiche, reputa oziosi e persino capziosi interrogativi del genere. Che, invece, sono messi a dibattito tra i relatori – storici delle dottrine politiche e dei partiti come Giorgio Vecchio, Vittorio De Marco, Paolo Acanfora e altri, assieme a politologi come Giuseppe Sangiorgi e a politici di lungo, anzi lunghissimo, corso come Ciriaco De Mita – che hanno accettato l’invito del Centro Studi sulla Cooperazione “A. Cammarata” a confrontarsi in un convegno su don Luigi Sturzo, programmato a Caltanissetta per sabato 22 giugno, manco a dirlo nell’auditorium del seminario diocesano. Non a caso il titolo del convegno – Popolo, Democrazia, Libertà – mette in fila le parole-chiave del lessico sturziano che si può implicitamente rintracciare nel discorso sui “Problemi della vita nazionale dei cattolici italiani” pronunciato nel 1905 dal pro-sindaco di Caltagirone e destinato a essere sviluppato nel prosieguo della sua lunga battaglia per una democrazia che, amava ripetere specialmente dopo esser tornato dall’esilio, o è “solidale” o non sarà mai.
IL PERCHÉ DEL CONVEGNO
L’ennesimo convegno sturziano, si potrà osservare, in un anno come quello corrente, tutto consacrato a ricordare il centenario della nascita del Partito popolare italiano (18 gennaio 1919) e il sessantesimo anniversario della morte del suo principale fondatore e ispiratore (8 agosto 1959). Una giornata di studio, però, che – per come è stata pensata – vuol risultare un momento di formazione alla consapevolezza storica, politica e sociale e non certo una kermesse celebrativa, buona soltanto per rastrellare i voti degli ultimi sparuti e spauriti nipotini del popolarismo sturziano e per cederli paradossalmente in donazione agli eredi del populismo qualunquista che all’epoca complicò la vita al segretario del Ppi (il quale definiva il populismo clerico-fascista come un “atteggiamento politico parlaiuolo e follaiuolo”). Del resto, anche la distinzione tra esecutori testamentari ed eredi potrà rivelarsi un efficace criterio ermeneutico per rivisitare e reinterpretare utilmente il pensiero di Sturzo.