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Cittadini, netizen o lobbisti?

Ricordate i compiti a casa? Tra tutti, le peggiori erano le famigerate divisioni. Non era semplice farle a scuola, figuriamoci nella vita reale. Vuoi la bailamme prodotta dall’ultima tornata elettorale, vuoi l’utilizzo massiccio del web (noi italiani siamo online mediamente 1 ora e mezza al giorno, il 44% di noi tutti i giorni), vuoi anche la rincorsa frenetica dei partiti per coinvolgere e condividere idee e proposte (poche, ma ben confuse) con una base sempre più mobile e indecisa: insomma, oggi distinguere tra ruoli è diventato complicato. E così li trovi tutti assieme, uno vicino – anzi, sopra – l’altro. Da una parte i cittadini che si credono lobbisti, galvanizzati perché con una manciata di click tengono botta ai grandi elettori. Dall’altra i lobbisti, regrediti al ruolo di comuni cittadini. Vorrebbero contare di più, chiedono rispetto e credibilità. Il fatto è che c’è sempre un Bisignani o un Tarantino di troppo che guadagna l’onore della cronaca a discapito della categoria.

E invece, oggi più che mai, le divisioni sono essenziali per fare chiarezza. A cominciare da loro, i cittadini. L’ultimo dossier del Senato sui media civici censisce circa 2 milioni di netizen, i cittadini-attivisti del web. Attenzione ad “attivisti”, sta tutta li la differenza. Stando ai dati diffusi dall’Osservatorio Demos-Coop i netizen leggono le notizie online (63%) e in 4 casi su 10 le considerano più affidabili di quelle sulla carta stampata e in televisione. Quando leggono poi si informano soprattutto di politica (50%) e spesso prendono parte a iniziative, sottoscrivono manifesti o aderiscono movimenti online (29%). Il principale veicolo del loro attivismo sono i social network. Il 63% di loro è presente su Facebook e Twitter. Insomma, grazie all’uso del web e dei social network un numero sempre maggiore di persone ha la possibilità di intervenire nel dibattito, confrontarsi, e alla fine contribuire a tenere la barra delle decisioni pubbliche. Non sono semplici cittadini disinteressati o rassegnati. Rappresentano l’upgrade della cittadinanza. Addirittura sembrano messi lì apposta per soddisfare il vecchio pallino dell’Europa che abbatte il democratic deficit. Europa che, neanche a farlo apposta, quest’anno celebra l’anno della cittadinanza all’insegna (anche) della partecipazione popolare.

E i lobbisti? Loro no, sono un’altra cosa. Numeri precisi non ce ne sono. Complici le (poche) norme e la (molta) opacità nessuno ha chiaro quanti siano. L’unico rapporto con qualche numeretto è oramai datato, lo pubblicò qualche anno fa il Centro Italiano Prospettiva Internazionale, e riguardava il lobbying italiano in Europa. Il rapporto quantificava in circa quattromila gli italiani stabili a Bruxelles per tutelare gli interessi delle imprese italiane. Presumibilmente sono altrettanti, se non di più, in Italia. Quantità a parte, il loro è un mestiere vitale. Al contrario dei netizen (ed è la prima differenza) non partecipano per il piacere di farlo, o per interesse personale. Partecipano perché è il loro lavoro. Soprattutto – ed è la seconda differenza dai netizen – partecipano per conto terzi. I lobbisti sono piccoli ingranaggi di un sistema complesso, la democrazia, che senza di loro non si muoverebbe, o si muoverebbe male. Il contributo di ciascuno, in proporzione, rende il politico potenzialmente in grado di assumere la migliore decisione possibile, perché conosce i pro e tutti i contro.

Attenzione allora a fare di tutta l’erba un fascio e mettere assieme democrazia partecipativa, rappresentanza degli interessi, “netizenismo” e politica. Son cose diverse (anzi: divise) ed è bene che restino tali. Se non lo fossero si confonderebbero i ruoli, e con loro verrebbero deluse le aspettative. Che, poi, un sistema democraticamente maturo tragga beneficio dalla convivenza – o addirittura dalla sovrapposizione – di più canali di partecipazione è un altro discorso. Prendete l’esempio della Toscana. Tra il 2002 e il 2009 grazie a Riccardo Nencini, allora assessore al bilancio, oggi Segretario del PSI e senatore, furono approvate 2 leggi diverse: una (del 2009) serviva per interagire con la società civile. Un’altra (del 2002) invece per agevolare i professionisti della rappresentanza d’interessi, ossia i lobbisti. Il doppio binario non ha ostruito la prima, né ha delegittimato i secondi. Entrambi, con scopi, tempi e mezzi diversi dialogano con l’amministrazione locale. E ne traggono beneficio reciprocamente.

 

 


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