Vladimir Putin parla dal suo ufficio presidenziale al Cremlino. Dall’altra parte della scrivania ci sono Lionel Barber e Henry Foy, direttore e capo del bureau di Mosca del Financial Times. Novanta minuti di intervista a tutto campo. Cina e Stati Uniti, Siria e Corea del Nord, Europa e Sud America. Circondato da statue dei suoi predecessori di imperiale memoria, il presidente russo si racconta, ed è un fiume in piena. Lo fa alla vigilia del G20 apertosi oggi a Osaka, in Giappone. Non è un caso. Scremato dalle consuete photo opportunity e dagli insipidi comunicati congiunti, l’appuntamento fra leader globali può risultare decisivo per gli equilibri internazionali. Primo fra tutti quello fra Russia e Stati Uniti, che in poco più di un mese, il 2 agosto, rischiano di veder spirare di fronte ai loro occhi il trattato Inf (Intermediate-range nuclear force treaty) da cui entrambe hanno annunciato il recesso lo scorso febbraio. In assenza di un’inversione di marcia, all’orizzonte si profila una nuova corsa alle armi nucleari. “Credo ci sia questo rischio – ammette Putin. Se il trattato Inf e il trattato New Start (Strategic arms reduction treaty) dovessero estinguersi “non ci sarebbe più alcuno strumento al mondo per arrestare la corsa alle armi, e questo è un male”.
Per dirla con il direttore Barber, l’intervista del Financial Times consegna al lettore un classic Putin. Sorrisi ammalianti, voce pacata e quella rassicurante espressione di chi è sempre spettatore, e mai protagonista degli eventi. “Non sono stato al potere per tutti gli ultimi venti anni – ci tiene a precisare in apertura tra il serio e il faceto – come saprete, sono stato primo ministro per quattro anni, e questa non è la più alta autorità della Federazione Russa”. Incalzato dai giornalisti britannici sulle grandi questioni che tengono il mondo sospeso su un filo, Putin non si sottrae, traccia grandi linee, tradisce la sua passione per la storia, e una certa nostalgia per l’Unione sovietica che fu. Quanto all’attualità, l’andante è sempre lo stesso: vorrei ma non posso. “Esiste il rischio di un conflitto militare fra Russia, Cina e America?” gli chiede Barber. “Non credo esista una minaccia del genere da parte cinese – chiosa lui –difficile dire se gli Stati Uniti abbiano la pazienza di non prendere decisioni affrettate”.
L’AMERICA
L’America è sempre nei pensieri dello “zar”, che ne parla con insolita pacatezza. Un’accortezza in vista del bilaterale di questa mattina con “Donald”. Così chiama per gran parte della conversazione il presidente americano, “una persona di talento”, perché sa perfettamente “cosa i suoi elettori si aspettano da lui”. Putin spiega la rivolta antielitaria della classe media americana, ma non se la augura in Russia, “più il Paese rimane stabile meglio è”. Le accuse di una “mitologica interferenza” russa nelle elezioni presidenziali del 2016 sono bruscamente rispedite al mittente, “Trump ha semplicemente visto il cambiamento nella società e lo ha usato a suo favore”. Con altrettanta fretta viene cassato l’affaire Skripal, la spia russa avvelenata con sua figlia a Salisbury nel 2017, “questa spy story non vale cinque rubli”.
LA POLITICA ESTERA
La politica estera è al centro dell’intervista. Il presidente russo ne ha fatto il tratto distintivo della sua presidenza. Il restauro di una “Grande Russia” passa da quel che succede oltreconfine. “Dopo venti anni al potere il suo gusto per il rischio è aumentato?” gli chiede il direttore del FT. Putin risponde con un proverbio moscovita: “chi non corre rischi non beve mai champagne”. Poi traccia un bilancio più che roseo dei rischi che la sua Russia si è presa in questi anni. Uno su tutti: l’intervento militare in Siria nel 2013, che ha ridisegnato il risiko mediorientale. “Abbiamo ottenuto più di quanto ci aspettassimo – chiosa soddisfatto – abbiamo stretto ottime relazioni con tutti gli alleati regionali”. E poi ancora ucciso terroristi islamici e fermato i foreign fighters. E difeso e restaurato il pericolante regime di Bashar Al Assad, “siamo riusciti a preservare la statalità siriana”. Questa la missione cui si sente chiamata la Russia di Putin. Schermare i governi amici dalle supposte intromissioni di “attori esterni”. Vale anche per la Corea del Nord, “non dovremmo tanto parlare del suo disarmo quanto di come assicurarne la sicurezza incondizionata”. Idem per il Venezuela: “siamo preparati a qualsiasi sviluppo nel Paese, purché avvenga nel rispetto delle regole e la legislazione domestica”.
L’INTERESSE NAZIONALE
Il faro resta quello dell’interesse nazionale, i sistemi di grandi alleanze vengono dopo. Anche il riavvicinamento con la Cina viene ridimensionato da Putin. Con il presidente Xi Jinping ha avuto 28 incontri in cinque anni, quello a Osaka è il ventinovesimo. L’ex Celeste impero, dice, “ha mostrato lealtà e flessibilità tanto ai suoi partner che ai suoi avversari”. “La Russia sta mettendo troppe uova nel cesto dei cinesi?” gli chiede il giornalista. “Abbiamo molte uova ma non abbastanza cesti dove riporle” chiude lui.
GLI AFFARI DOMESTICI
Gli affari domestici sono un tasto dolente. Questa primavera, ricorda il FT, “il tasso di approvazione di Putin ha toccato il minimo negli ultimi tredici anni”. Il presidente ne è consapevole, ma preferisce glissare. L’economia è l’anello debole della catena. Crescita e salari reali della forza lavoro sono stagnanti. Non un biglietto da visita ideale per una grande potenza. Ci vuole ben altro per convincere Putin a lasciare il posto. Pensa da sempre alla successione, ma la decisione sarà rimessa al voto “dei cittadini della Federazione russa”, garantisce lui. Che non si esime dall’ennesimo sberleffo all’ “obsoleta” idea liberale di cui si fregiano i Paesi europei. Gli ha risposto per le rime il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk: “obsoleti sono l’autoritarismo, i culti personali e lo strapotere degli oligarchi”.