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Il referendum sulla scuola a Bologna. Nuova sconfitta per il Pd?

Già laboratorio di soluzioni importanti e, tutto sommato, innovative nel campo di Agramante della sinistra (è sufficiente ricordare la svolta della Bolognina e la nascita dell’Ulivo) la città di Bologna potrebbe diventare lo scenario di una umiliante sconfitta del sindaco Virginio Merola e del gruppo dirigente del Pd da parte delle forze politiche che tentano di imbastire un dialogo alla sua sinistra (Sel e M5s), appoggiate da gran parte di quell’establishment pseudoculturale sempre pronto a firmare ogni appello purchè rivolto a scelte settarie e divisive.

Per farla breve, domani, domenica 26 maggio si svolgerà nella ex capitale rossa un referendum consultivo promosso da un Comitato denominato ‘’Articolo 33’’ (inneggiante, appunto, alla norma della Costituzione che secondo i “mozzorecchi” del laicismo con la puzza sotto il naso vieterebbe – ma la Consulta è di parere diverso – allo Stato di sostenere oneri per la scuola a gestione privata), sostenuto da Sel e dai grillini e rivolto a rimettere in discussione – attraverso due quesiti non solo ambigui ma parecchio truffaldini – il modesto finanziamento che l’Amministrazione comunale eroga alla scuola d’infanzia paritaria a gestione privata.

E’ opportuno, a questo punto, riportare alcuni dati e fare un po’ di storia. A Bologna, da una ventina di anni, è operante un sistema integrato che tiene insieme le scuole dell’infanzia statali, quelle paritarie comunali e le 27 paritarie a gestione privata (in maggioranza d’ispirazione religiosa, ma vi sono anche istituzioni non profit laiche e del movimento cooperativo). Il sistema – programmato, controllato e vigilato dal Comune – assicura, con standard di qualità, adeguati ed uniformi, l’accoglienza per quasi novemila bambine e bambini in età compresa tra i 3 e i 6 anni (oltre il 98% dei richiedenti). L’onere a carico dell’Amministrazione comunale è di circa 37 milioni all’anno, così suddivisi: 35,5 milioni per la scuola paritaria comunale che accoglie 5.137 bambini (61%); 1,1 milioni per la scuola statale che accoglie 1.459 bambini (18%) ed 1,05 milioni per la scuola paritaria convenzionata che accoglie 1.736 bambini (21%).

Mentre le risorse destinate alla scuola statale rientrano in obblighi che la legge carica sui Comuni, il milione destinato alle istituzioni a gestione privata è previsto nella convenzione che viene stipulata, dal 1993, ogni anno (ovviamente con le variazioni e gli adeguamenti del caso). In sostanza, con un ammontare corrispondente al 2,9% delle risorse complessive stanziate per la scuola d’infanzia e allo 0,8% del bilancio nella sua interezza, il Comune di Bologna ha trovato un’adeguata soluzione per 1.700 bambine e bambini ad un costo, a suo carico, di 640 euro annui cadauno. Se dovesse provvedere ad essi con le proprie strutture, oltre a dover predisporre nuovi impianti fissi, il Comune dovrebbe sostenere, all’anno, un onere di 7.000 euro per ogni ospite.

Si badi bene: questi importi si riferiscono a quanto viene erogato dall’Amministrazione comunale non già al costo pro capite dei bambini accolti, in quanto nella scuola convenzionata intervengono le rette a carico delle famiglie, stabilite da un tariffario concordato con il Comune, articolato per fasce di reddito e comunque entro il tetto massimo di 2.500 euro annui compresa la quota d’iscrizione. Perché, allora, voler scardinare un sistema che funziona da vent’anni e che ha persino fatto da battistrada alla legge di Luigi Berlinguer del 2000? Soprattutto quando con le medesime risorse, erogate in qualità di contributo alla scuola convenzionata, il Comune di Bologna potrebbe, al massimo, assicurare l’accoglienza a 150-160 bambini. I referendum, anche quelli consultivi, sono una bomba ad orologeria destinata a scoppiare a distanza di tempo dal suo innesco.

Nel frattempo, il contesto politico e sociale in cui la consultazione si svolge può essere profondamente mutato fino a produrre effetti imprevisti, che travalicano persino gli obiettivi posti a base dei quesiti. Il referendum di Bologna si iscrive ormai nella lotta aperta, a sinistra, nei confronti del Pd; diventa un banco di prova della costruzione di un progetto nazionale comune di Sel e M5s, in opposizione al governo Letta, in quanto espressione dell’inciucio. E soprattutto si è trasformato in un attacco al Pd e al sindaco, che, al pari della Curia, ci hanno messo la faccia con coraggio (mentre i dirigenti nazionali appartenenti a tutte le varie anime si sono squagliati), perché temono che il referendum diventi l’occasione per far venire allo scoperto i tanti mal di pancia della base militante.

Non è un caso che a sostegno del quesito A (quello contrario al finanziamento) siano scesi in campo tutti i “sepolcri imbiancati” del radicalismo della sinistra politica e sindacale, al grido di “Oggi a Bologna domani in Italia!” (visto che lo Stato finanzia la scuola paritaria). Ci basti ricordare, tra gli aderenti, Stefano Rodotà (tà-tà-tà), Margherita Hack, Angelo Guglielmi, Maurizio Landini, Stefano Bonaga, Riccardo Scamarcio, Valeria Ugolini, Neri Marcorè, Michele Serra, Corrado Augias, Gino Strada (sic), Philippe Daverio, Andrea Mingardi e compagnia cantante.

I sostenitori del quesito A si rifiutano, in nome di un ideologismo malato, di valutare con serenità ed oggettività i termini dell’esperienza del sistema educativo integrato in corso da anni a Bologna (e in altre città emiliane), prima di “aver fatto scuola” anche sul piano nazionale. La loro è una battaglia che si fa scudo di questioni di principio truccate, ma che resta indifferente nei confronti delle esigenze dei bambini e delle famiglie: è la rottura l’obiettivo politico che essi perseguono. Il tema della scuola è stato, nella storia, uno dei punti più delicati del rapporto tra laici e cattolici. Si è raggiunto un equilibrio, per scardinare il quale nessuno è autorizzato ad interpretare arbitrariamente la Carta Costituzionale.

La Consulta, infatti, ha riconosciuto la conformità del sistema pubblico integrato alle norme fondamentali della Repubblica. Nel caso di Bologna, a suo tempo, la “banda dei mozzorecchi” presentò anche un esposto alla Corte dei Conti che finì in una bolla di sapone. I bolognesi non devono cadere nella trappola tesa da coloro che sbandierano i concetti di libertà e di laicità soltanto per farli votare come vuole Beppe Grillo. La scelta giusta è quella di presentarsi ai seggi e votare il quesito B, sostenuto, oltre che da associazioni e movimenti, da tutti gli altri partiti, eccezion fatta per il Psi di Riccardo Nencini, che su questo tema sta con Grillo e il Sel.

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