Addio all’ambiente festoso, quieto, in cui si svolgevano fino a ieri le proteste a Hong Kong. La pacifica Rivoluzione degli Ombrelli fa parte del passato. Le manifestazioni di massa degli ultimi giorni hanno fatto scoppiare la scintilla e lo scontro con le forze dell’ordine è stato immediato. Sebbene il progetto di legge sull’estradizione sia stato rimandato a tempo indefinito, lo scontento continua… Allora, che cosa chiedono, ancora, i manifestanti? Quali potrebbero essere le conseguenze geopolitiche di questa crisi e come potrebbe intaccare i piani di Xi Jinping?
In una conversazione con Formiche.net, Giorgio Cuscito, analista di Limes, studioso di geopolitica cinese e curatore del Bollettino Imperiale di Limes, ha spiegato che la dimensione delle ultime proteste a Hong Kong hanno innescato la componente violenta. Ma la crisi va oltre: “Se ci fossero la cancellazione completa del progetto di legge sull’estradizione e le dimissioni della governatrice di Hong Kong, Carrie Lam, ci sarebbe comunque una parte della popolazione locale che chiederebbe ancora maggiori diritti e maggiore democrazia. Nella costituzione di Hong Kong c’è scritto che lo scopo ultimo è il perseguimento del suffragio universale. In questa regione c’è una costante richiesta di maggiore democrazia in questa regione”. L’esperto ricorda come c’è una parte della popolazione locale che chiede addirittura l’indipendenza di Hong Kong, mentre altri l’elezione diretta del capo esecutivo.
BRACCIO DI FERRO
Il problema è che Pechino non intende cedere. Non ha intenzione di cancellare in maniera definitiva il progetto di legge sull’estradizione e continua a sostenere Lam. Il motivo? “Non vuole mostrare debolezza ai manifestanti di Hong Kong né al resto del mondo – sostiene Cuscito -. Non vuole far sì che le proteste locali inducano il governo di Hong Kong a cambiare il progetto di legge. Questo rileverebbe la vulnerabilità del governo a manifestazioni e pressioni. E questo per la Cina non è possibile. Facendo troppe concessioni ai manifestanti si potrebbero verificare casi simili. In altre parti della Cina potrebbero essere avanzate delle richieste a favore di maggiori diritti e libertà”.
Per Cuscito non è però chiaro fino a che punto Pechino sosterrà Carrie Lam. Ad un certo punto, il governo di Xi Jinping potrebbe indurre le dimissioni; più improbabile invece la cancellazione definitiva del progetto di legge sull’estradizione.
PONTE FINANZIARIO E CULTURALE
“La legge sull’estradizione è uno strumento attraverso il quale Pechino vuole esercitare maggiore influenza sulle dinamiche politiche ed economiche di Hong Kong – ha spiegato -. Perché comunque Hong Kong è regione ad amministrazione speciale della Repubblica popolare. È autonoma, ma non indipendente. Pechino vuole integrarla progressivamente nei meccanismi interni della Cina continentale, preservandone le prerogative finanziarie”. L’analista sottolinea come “Hong Kong è stata un ponte finanziario e culturale tra Cina e Occidente, e questo ha fatto comodo nel corso degli anni al governo centrale. Per questo vuole preservare questo ruolo, integrando sempre di più la regione nei meccanismi interni del Paese”.
I RISCHI DELLA LEGGE
Sebbene la legge sull’estradizione preoccupi i manifestanti perché permetterebbe al governo centrale cinese di processare coloro che protestano contro il Partito comunista cinese, portandoli da Hong Kong alla Cina continentale, il progetto di normativa agita anche all’élite economica della regionale. Secondo Cuscito “la legge sull’estradizione serve al governo centrale cinese anche nell’ambito della lotta contro la corruzione. Nel corso di questi anni molti politici e imprenditori hanno portato denaro fuori dalla Cina continentale servendosi di Hong Kong perché aveva questo ruolo privilegiato. La legge potrebbe anche scoraggiare gli investitori stranieri”. Tuttavia, per ora la crisi di Hong Kong non ha effetti sull’economia cinese.
LA MOSSA, NEGATIVA PER LA CINA, DI TAIWAN
Una ripercussione geopolitica importante che già si sta verificando in questo momento è l’intaccamento dei rapporti tra Pechino e Taiwan: “Nel corso di questi anni Pechino ha proposto a Taiwan – che è considerata una regione di cui prendere il controllo – la riunificazione nazionale attraverso il modello attuato a Hong Kong, tramite la formula ‘un Paese, due sistemi’. Con la dinamica che è in corso in questo momento, Taiwan è convinta più che mai di non volere accettare questa proposta. Ciò implicherebbe rinunciare a tutti i diritti e libertà che i taiwanesi hanno oggi a favore di un modello meno libero, che poi prevede una sempre più crescente integrazione nel sistema della Repubblica popolare”. Un duro colpo per Pechino, che punta sulla riunificazione nazionale cinese come uno degli obiettivi principali del piano di Xi Jinping per il risorgimento della Cina dal Secolo delle umiliazioni – le umiliazioni subite dalle potenze straniere tra le Guerre dell’Oppio alla fondazione della Repubblica popolare -. Un processo di riunificazione che la Cina vorrebbe accadesse in maniera pacifica e progressiva, ma che secondo Cuscito non esclude l’utilizzo della forza in caso di necessità.