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Perché i legami tra Huawei e governo cinese non sono favole. Parla Terzi

Una nuova ricerca condotta dal professore e ricercatore Christopher Balding – già co-autore di un report che analizzava la struttura societaria di Huawei – mette in luce i presunti legami di decine di dipendenti del colosso cinese con l’apparato militare e di intelligence della Repubblica Popolare.
Circostanze che, nonostante le smentite di Pechino e della sua telco di punta, non stupiscono l’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, già ministro degli Esteri e oggi presidente di Cybaze, che in una conversazione con Formiche.net evidenzia che sarebbero molti gli elementi che avvalorano questa tesi. Ecco quali.

Ambasciatore Terzi, da una ricerca condotta dal professore e ricercatore Christopher Balding sui Cv del personale è emerso che molti dipendenti del colosso cinese sarebbero impiegati simultaneamente anche in istituzioni affiliate alle forze armate cinesi. Altri avrebbero lavorato in aree correlate all’hacking o al monitoraggio delle telecomunicazioni. Anche questi, secondo la ricerca, sarebbero stati collegati all’intelligence nazionale. Lo considera verosimile?

La ricerca è estremamente attendibile e corrisponde a una serie di altri studi su come è strutturata Huawei al suo interno. Alcune si occupano, come queste, dei Cv, altre fanno analisi di comunicazioni interne alle diverse filiali della società, e sono estesi a dipendenti, ricercatori e analisti. Huawei presenta un’organizzazione di tipo militare, con un grado di fidelizzazione a dir poco giurata dei dipendenti, tenuti a dedicare una devozione assoluta. La fidelizzazione, peraltro, è molto simile a quella che richiesta per i militari, infatti i dipendenti ottemperano a mission per raggiungere una serie di obiettivi strategici di lungo periodo e a livello nazionale. Il radicamento della società nel mercato è un obiettivo sia economico sia strategico. Un obiettivo che sta riuscendo, considerando che Huawei è riuscita ad inserirsi ovunque, dai Paesi africani alle campagne americane in Arizona e Oregon. Il colosso cinese si pone come interlocutore primario per i prodotti a basso costo, sia per un discorso di prezzo sia per la disponibilità dei suoi venditori ad andare a coprire i mercati meno favoriti dai grandi gruppi. Una capacità di diffusione enorme che dimostra la grandissima motivazione del personale cinese a costo di qualsiasi sacrificio. La mentalità militare dei cinesi nell’affrontare il business li rende capaci di operare economicamente motivati dalla “grande causa” dell’espansione cinese attraverso una vera e propria affermazione nazionalista. Anche considerato che il fondatore di Huawei Ren Zhengfei è un ex ufficiale delle forze armate cinesi e che la legge sulla sicurezza nazionale nel 2017 costringe tutte le aziende ad alto valore tecnologico a cooperare con gli apparati di sicurezza, è evidente che l’azienda fa parte in toto di un sistema Dual Use. Attività civili, obiettivi strategici e metodologie militari.

Come si lega questo presunto rapporto tra mondo militare cinese e Huawei con il dibattito occidentale circa la possibile partecipazione della telco all’implementazione delle nuove reti 5G?

La preoccupazione, dal ban di Huawei, è leggermente diminuita negli Stati Uniti, anzi il presidente Donald Trump ha anche mandato dei segnali di distensione. Non penso che la strada sulla quale si è messa l’amministrazione Usa cambi, perché è in gioco la capacità dell’intero sistema politico militare ed industriale di Washington di continuare ad essere competitivo con la Cina. Gli Stati Uniti non possono permettere che il competitive edge sia eroso in alcun modo; e questo consente anche un certo allineamento tra l’intelligence americana e l’amministrazione Trump. Nessuno dei due intende permettere alla Cina di dominare la dimensione cyber. Nonostante i dissapori né il cosiddetto deep state né l’inquilino della Casa Bianca accetterebbero di conferire a Pechino una capacità di dominio nella dimensione cyber.

Che misure verranno prese, secondo lei, in Europa?

Come Italia dovremmo senza dubbio aumentare la sicurezza e limitare la partecipazione di enti affiliati a forze militari e di intelligence straniere nell’area delle core technologies.

Come gli inglesi..

Londra si è trovata in una situazione di pressione fortissima. Huawei collabora da anni con il Paese, quindi possiamo solo immaginare che capacità di penetrazione e di acquisizione di expertise abbia l’azienda. Il colosso cinese ha peraltro creato molti centri di ricerca che operano anche su Intelligenza artificiale nel Regno Unito e, cosa ancora più grave, i ricercatori cinesi spesso hanno la clearance di sicurezza britannica. Certo il nulla osta garantisce una sorveglianza dell’intelligence locale, ma permette ai dipendenti di accedere anche a documenti classificati. Di sicuro la partecipazione ai Five Eyes costringe Londra a restare compatibile con l’alleanza di intelligence e questo può costituire un elemento di rassicurazione.

Crede che l’espansione cinese nel cyber spazio troverà un alleato nella Russia?

Putin e Xi vantano una grande amicizia, come da loro sottolineato in più occasioni. Abbiamo visto esercitazioni militari congiunte, e diversi forum di cooperazione nel grande gioco geopolitico. Per quanto concerne le mire egemoniche cinesi nei vari domini – soprattutto il quinto – credo che i due Paesi abbiano interessi fortemente divergenti. L’avanzamento cinese nel cyber space si riflette negativamente sulla Russia e sui suoi storici spazi di influenza. Kazakistan, Tagikistan fino anche al Caucaso, Mosca rischia di perdere molto della propria influenza verso l’Asia centrale. Inoltre, nonostante l’area sia russofona, la presenza cinese è molto forte, e si sta lentamente creando una situazione di insofferenza da parte delle popolazioni locali rispetto agli investitori cinesi. Dubito che un’impostazione di propaganda e formazione in un contesto come quello storicamente legato alla Russia possa funzionare nel lungo termine. D’altra parte l’estensione dell’influenza economica e della presenza militare sono proiezioni del potere politico. Su questo, complice la percezione di accerchiamento tipica della Russia, Putin non farà sconti nel lungo periodo.



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