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Il Dalai della discordia

Di am

Non c’è volta che la visita di sua santità il Dalai Lama crei qualche sorta di incidente diplomatico. Eppure è l’incarnazione stessa dell’armonia e della diplomazia, questo “piccolo” uomo vestito di arancione in esilio dal suo paese, il Tibet massacrato dai cinesi, sin dal lontano 1959. Anche quest’anno, Prodi non ha sciolto l’enigma e non si sa se l’incontrerà. I 2 miliardi di consumatori del mercato cinese indubbiamente hanno il loro peso sulle scelte del nostro presidente del Consiglio. A parte questo, però, questa volta stupisce la presa di posizione di alcuni parlamentari che stanno facendo circolare una petizione da far sottoscrivere ai loro colleghi per impedire che il Dalai Lama entri in Parlamento. Nella petizione si legge che la Camera dei Deputati ed il Senato sono luoghi laici, dove non può entrare alcun rappresentante religioso, nè il Papa – dunque – nè tanto meno il Dalai. Questa rigidità in realtà non ci piace. Entrare in un luogo laico non significa de-sacralizzarlo (contraddizione in termini). Insomma, al Dalai forse toccherà essere accolto in uno stanzino extra-parlamentare, come una velina qualsiasi. La cosa che fa sorridere sul serio è però un’altra; provate a immaginare chi sta promuovendo la petizione contro il Dalai in Parlamento? Una certa Vladimir Luxuria….quella stessa persona che solo due settimane fa tuonava perchè un sacerdote voleva impedirle di partecipare al matrimonio della cugina in veste di testimone. Allora si trattava di discriminazione. Ora con il Dalai di cosa si tratta? Probabilmente di grossolana imbecillità, ma ai posteri – come sempre – l’ardua sentenza.

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