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Il braccio di ferro tra Mise, Arcelor e sindacati non azzoppi ancora l’Ilva

Nell’incontro svoltosi lunedì scorso al dicastero dello Sviluppo economico convocato dal ministro Di Maio sulle più recenti vicende del siderurgico di Taranto e che ha riunito allo stesso tavolo Arcelor Mittal Italia e sindacati ha colpito tutti i presenti – ed è stata ampiamente riportata su diversi organi di stampa – una frase di Matthieu Jehl, ceo della multinazionale siderurgica, il quale ha affermato fra l’altro: ”In tutta questa vicenda si ha l’impressione che si stia lavorando contro l’azienda.”

Una frase molto significativa che, a nostro avviso, potrebbe avere diverse chiavi di lettura. Intanto è apprezzabile che fonti del Mise (ma chi in particolare?) abbiano risposto che “nessuno (almeno in quella riunione) voleva chiudere l’azienda”, anche se bisogna dare “massima priorità al lavoro e alla sicurezza sul lavoro”. Affermazione questa non di poco conto, pronunciata peraltro in un ministero guidato dal capo politico del Movimento Cinque Stelle i cui militanti tarantini, sia pure con qualche lodevole eccezione, sono invece tutti schierati per la dismissione del sito.

I SEGNALI DELLE MAESTRANZE

Ma, tornando a quanto detto da Jehl, a chi intendeva riferirsi specificamente il top manager aziendale? Non crediamo che volesse rivolgersi a sindacati e lavoratori che erano al ministero per rivendicare con forza il drastico miglioramento delle condizioni di sicurezza di una fabbrica in cui – come hanno ribadito nei giorni scorsi – vogliono continuare a produrre, ma in piena sicurezza. E dopo la tragica scomparsa del gruista Cosimo Massaro, in Arcelor devono comprendere sino in fondo, anche al massimo livello della proprietà, che se è stato proclamato uno sciopero ad oltranza (poi sospeso) e se sono stati presentati 400 certificati medici per giustificare l’assenza dal lavoro, ciò è accaduto perché chi opera in quello stabilimento impegnandosi sui grandi macchinari dei suoi cicli di produzione – e non certo in comodi uffici distanti centinaia di chilometri – avverte sulla sua pelle che le condizioni di sicurezza degli impianti non sono affatto delle migliori. E se Jehl afferma (e c’è da credergli) che “l’incidente al porto è stato una tragedia, dato che abbiamo lavorato duramente per migliorare gli standard di sicurezza”, è altrettanto vero che quel “duro lavoro” non sembra essere stato percepito (almeno sino ad oggi) nei suoi risultati da chi dovrebbe esserne il beneficiario, ovvero dagli addetti diretti ai cicli produttivi.

Di questo, pertanto, sembrerebbe essersi preso atto al vertice della società, operando di conseguenza e sottoscrivendo ieri il verbale di accordo al ministero in cui sono stati assunti impegni molto rilevanti, anche – immaginiamo – per evitare che altri top manager finiscano indagati, come è accaduto al gestore del sito Stefan Michel Van Campe, accomunato in questo a tanti suoi colleghi che lo hanno preceduto nella direzione dello stabilimento. E allora, per evitare che insieme ad altri scioperi ad oltranza delle maestranze, possa determinarsi anche una desistenza (anch’essa ad oltranza) di dirigenti – chi di loro infatti vorrà più venire a dirigere un sito non sicuro in cui loro rischiano, se non la vita, certamente anni di carcere se riconosciuti colpevoli e condannati per determinati reati? L’azienda ha fatto molto bene ad accogliere la pressante richiesta di un nuovo piano straordinario di interventi per la sicurezza, da integrare secondo chi scrive con un grande programma di manutenzioni predittive anche con il know-how di aziende locali. Ora, però, l’accordo sottoscritto dovrà essere rispettato o fatto rispettare, come esigeranno con assoluta determinazione sindacalisti e maestranze.

A CHI SI RIFERIVA LA FRASE DI JEHL?

Allora, se non sono stati questi ultimi i destinatari della frase di Jehl, a chi intendeva riferirsi quando ha lamentato “che si rema contro l’azienda”? Forse, ma potremmo sbagliarci, a coloro che chiedono il blocco sine die della produzione, lo spegnimento di altiforni e una revisione dell’Aia in cui introdurre la valutazione preventiva dell’impatto sanitario, senza tuttavia aver prima definito quelle che il prof. Assennato giustamente ritiene debbano essere “misure normative per una seria e condivisa” valutazione di quell’impatto.

Ma potrebbe anche darsi che Matthieu Jehl – pur se ha dichiarato che “sono aperti al dialogo” e che “non possono risolvere da soli i problemi sul tappeto”, dovendo “tutte le parti concentrarsi sulla ricerca delle soluzioni” – come poi è avvenuto con la sottoscrizione dell’accordo – abbia in qualche modo voluto adombrare il disimpegno di Arcelor Mittal dall’acquisizione del Gruppo Ilva, al momento in affitto biennale finalizzato al suo acquisto. Un disimpegno che potrebbe avvenire entro il 6 settembre, se non sarà definita la questione dell’immunità (ma non certo per quello che è accaduto negli ultimi giorni), e se non verrà dissequestrato l’Altoforno n.2 per la cui messa a norma la magistratura potrebbe anche disporre – a garanzia dell’effettiva esecuzione degli interventi necessari – il versamento di una fidejussione escutibile a prima richiesta per un importo pari a quello dei lavori da eseguire. A Brindisi alcuni anni orsono un magistrato ricorse a questa procedura per la messa a norma delle torce della Versalis sequestrate, ma lasciate in facoltà d’uso all’azienda.

Lo stabilimento, per quanto produca a regime ridotto, non può essere ulteriormente azzoppato. Ed è opportuno, a nostro sommesso avviso, che lo comprenda bene chi pensasse ancora di far chiudere quella fabbrica per via giudiziaria.


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