Se esistesse un borsino dei dittatori, oggi Chavez sarebbe in deficit e Vladimir Putin al top. Ma il borsino non esiste e Russia e Venezuela sono formalmente delle democrazie. E’ su quel “formalmente” che si gioca tutto. A sorpresa el caudillo pop (come l’ha definito nel suo libro per Marsilio la nostra Rossana Miranda) – al secolo Hugo Chavez – ha patito una cocente sconfitta durante il referendum sulle riforme costituzionali, da lui voluto per potersi legittimamente incoronare presidente a vita del Venezuela, mentre sull’altro versante del mondo il partito di Putin ha raccolto il 63% dei consensi durante libere elezioni. Le reazioni alla man bassa di voti di Putin – presidente della grande madre Russia nonché ex direttore del Kgb – ha dato il La ad una serie di commenti preoccupati per la situazione democratica dell’ex Unione sovietica. Sembra, a giudicare dai dati dell’Osce oltre che a quelli di Zuganov, che i brogli siano stati tantissimi e alquanto grossolani. Intanto, dalle foto con famiglia al seguito Putin sorride e ne ha ben donde. Brogli o non brogli non abbiamo dubbi sul fatto che resterà saldamente in sella e, soprattutto, che il popolo russo veda in lui un faro revanchista irrinunciabile dopo tutti questi anni in cui la politica post-sovietica è stata messa da parte e sottoposta ad una sorta di umiliazione globale. Con Putin può rinascere il sogno di una grande Russia, forte energeticamente e quindi economicamente e destinata ad avere un peso sempre maggiore sullo scacchiere del mondo. Siamo così convinti che quel 63% sia poi tanto fasullo?
Il borsino dei ‘dittatori’
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