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Interferenze russe alle elezioni? Per Trump la minaccia è reale. E gli 007 si preparano

Con l’indagine sulle interferenze russe del 2016 appena conclusa e dopo il positivo test delle Midterm di dicembre scorso, in vista delle presidenziali del prossimo anno l’intelligence americana prova a rafforzare ulteriormente il contrasto alle minacce ibride provenienti dall’estero.
Per farlo, il numero uno della National Intelligence – la realtà che raggruppa l’articolata costellazione dei servizi per la sicurezza Usa – Dan Coats, ha annunciato che verrà creata una nuova posizione che sarà ricoperta da un funzionario esperto chiamato proprio a supervisionare l’intelligence della sicurezza elettorale.

LA NUOVA FIGURA

A ricoprire la posizione sarà Shelby Pierson, una funzionaria con oltre venti anni di esperienza nell’intelligence community, che ha già ricoperto il ruolo di Responsabile delle crisi per la sicurezza elettorale della National Intelligence durante le elezioni di medio termine del 2018.

L’OPINIONE DEGLI ESPERTI

L’annuncio di Coats è stato accolto positivamente dagli addetti ai lavori e dagli esperti di disinformazione. Su Twitter, Laura Rosenberger, direttore dell’iniziativa Alliance for Securing Democracy e senior fellow del German Marshall Fund, ha commentato che l’azione “aiuterà il coordinamento” e l’identificazione di “priorità”. Aggiungendo che il Consiglio per la Sicurezza Nazionale dovrebbe seguire la mossa e “istituire la figura di un coordinatore esperto nel contrasto a interferenze estere per assicurare” un ulteriore “coordinamento tra tutte le agenzie” e le realtà rilevanti a questo fine (ad esempio il Dipartimento per la Sicurezza interna, chiamato a proteggere le infrastrutture critiche, tra le quali i sistemi di voto).

LE INFILTRAZIONI RUSSE

Dopo le elezioni del 2016, la Russia (che secondo gli esperti americani si sarebbe anche insinuata in alcune infrastrutture critiche Usa), avrebbe tentato anche di condizionare le recenti Midterm di fine 2018. E nell’occasione, Washington, e in particolare il Cyber Command, con il supporto di informazioni di intelligence, “spensero” l’Internet Research Agency (Ira), la “fabbrica dei troll” di San Pietroburgo ritenuta dai servizi segreti americani l’epicentro delle campagne di influenza condotte a suon di fake news che vengono attribuite a Mosca dagli Usa.

Nel report finale diffuso al termine dell’inchiesta sul Russiagate, si pone in rilievo l’assenza di ogni dubbio circa un ruolo attivo dei Mosca in quella tornata elettorale. Ma ben prima della conclusione dell’indagine, l’amministrazione Usa guidata da Donald Trump, proprio a seguito di quanto emerso dall’inchiesta, aveva imposto nel 2018 nuove sanzioni a 19 soggetti russi, in particolare nei confronti di due agenzie di intelligence della Federazione insieme con l’Ira, oltre che a 13 cittadini e business che rientravano nella lista delle incriminazioni spiccate dal procuratore speciale Robert Mueller.

Del resto, sulle interferenze di Mosca negli Usa, dichiarazioni e report si susseguivano da tempo. Se per gli 007 americani non ci sono mai stati dubbi, anche il Congresso Usa era giunto alla conclusione che Mosca avesse tentato davvero di “hackerare” il processo democratico d’oltreoceano, effettuando attacchi informatici anche a commissioni elettorali in almeno 18 Stati.

Mentre a dicembre scorso erano stati due dossier indipendenti richiesti dalla commissione Intelligence del Senato statunitense a mettere in luce la potente (ed estesa) macchina russa che aveva invaso i social media grazie al supporto dell’Ira. Secondo gli studi, l’operazione aveva coinvolto non solo piattaforme come Facebook (che ha anche Instagram) e Twitter, ma praticamente i servizi di tutti i big del Web, compresi Microsoft (con Outlook) e Google (compresi il suo YouTube, Gmail e i risultati di ricerca), Yahoo!, Tumblr e Vine. Un’attività che serviva – con l’ausilio di reti di bot o di addetti in carne e ossa – anche a rilanciare contenuti prodotti su media filorussi (o controllati dallo stato) come Sputnik o RT, talvolta su temi divisivi tesi a polarizzare il dibattito politico o a creare disaffezione nel sistema democratico, talvolta per diffondere la visione di Mosca su dossier come la guerra in Siria o la crisi in Ucraina.

IL CAMBIO DI STRATEGIA USA

Per questo, dopo anni di sforzi per contrastare le minaccia terroristica, ha raccontato in più occasioni Formiche.net, Washington si sta effettivamente focalizzando su avversari nuovi, come la Cina, e tradizionali, come la Russia, con la quale è da tempo in corso una nuova guerra fredda dai contorni cyber. In questo conflitto a media intensità, ma di fatto permanente, la Casa Bianca ha deciso da qualche tempo di mutare strategia, rendendo permanente la Task Force dedicata a Mosca e adottando – come ha recentemente ricordato il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton – un approccio più offensivo, a fini di deterrenza, che vedrebbe in prima linea cyber soldati e Pentagono, investiti di maggiore libertà di movimento e azione nello spazio cibernetico.

Più complessa la guerra cibernetica in corso con la Cina, che per l’amministrazione non riguarda tanto la questione elettorale, ma si focalizza principalmente sulla necessità da un lato di fermare l’emorragia di proprietà intellettuale (che, secondo l’intelligence Usa, vede da anni viaggiare dal Nord America all’Asia informazioni sensibili sottratte con mezzi informatici), dall’altro di impedire la penetrazione tecnologica cinese (vedi Huawei e non solo).

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