La Russia annuncia di voler entrare a far parte di Instex, il nuovo meccanismo finanziario con sede a Parigi, diretto da un ex top-manager tedesco di Commerzbank e predisposto per salvare la tregua sul nucleare neutralizzando le sanzioni americane a Teheran. Mosca da settimane sta facendo pressing affinché il sistema di pagamento, oltre a permettere il commercio verso l’Iran di beni di prima necessità, possa coprire anche l’acquisto di petrolio. Ma di che si tratta?
Instex (Instrument in Support of Trade Exchanges) è stata creata lo scorso gennaio da Germania, Francia e Gran Bretagna (le “E3 countries”, come si definiscono) nelle forme di una Spv (Special Purpose Vehicle). Per funzionare, permettendo lo scambio di beni fra l’Europa e l’Iran senza l’uso della valuta americana, Instex punterà a facilitare le operazioni di vendita bypassando le istituzioni finanziarie.
Le banche europee, infatti, sono oggi restie ad accettare fondi provenienti dall’Iran, anche da settori esclusi dalle sanzioni, come quello alimentare o farmaceutico. Inoltre, per lo stesso motivo, gli istituti finanziari iraniani sono stati disconnessi dal sistema di trasferimento delle comunicazioni interbancarie Swift.
Ora invece, con questa società veicolo, sostenuta ufficialmente dall’Ue e in fase di allargamento a nuovi paesi, si farà in modo che gli esportatori europei possano ricevere i pagamenti delle loro vendite da fondi europei e viceversa. Per funzionare, quindi, è necessario un dialogo con la controparte iraniana di Instex (lo Special Trade and Finance Institute, creato lo scorso aprile) ed ottenere un equilibrio funzionale al superamento delle restrizioni valutarie e bancarie.
Sono già stati sperimentati in passato analoghi meccanismi compensativi, ma del tutto nuova è la proporzione di quest’operazione, che potrebbe coinvolgere tutti i paesi europei interessati ad intrattenere relazioni commerciali con l’Iran. Il significato diplomatico di Instex è grande: l’Europa si dissocia dalla politica americana volta ad abbattere il Patto d’azione congiunto globale con l’Iran (Jcpoa) e tenta, in questo modo, di mantenere uniti i cocci nel Golfo.
La voce di Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione europea, si è già fatta sentire. In una recente conferenza stampa a Bruxelles ha dichiarato che “abbiamo avuto ottime discussioni su come continuare a lavorare per conservare l’accordo con l’Iran. All’unanimità i ministri hanno detto che c’è bisogno di far sì che Instex, questo strumento di cui ci siamo dotati, sia in funzione rapidamente per avere scambi con l’Iran. Diversi Stati membri hanno dimostrato la loro volontà ad unirsi a questo strumento e ci sarà anche la possibilità per Stati non membri di aderirvi”.
Sembra indicare una via d’uscita all’appello del ministro degli Esteri della Repubblica islamica, Mohammad Javad Zarif, che ha ribadito la volontà di Teheran di conservare l’accordo del 2015, auspicando un fronte compatto dei paesi Ue contro le sanzioni imposte dagli Stati Uniti.
L’ingresso della Russia, per ora solo annunciato, sarebbe a dir poco sorprendente viste le frizioni che ad oggi hanno impedito ogni tentativo di cooperazione con l’Ue. Basti pensare che la neoeletta presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, ha sin da subito messo paletti nei rapporti con il vicino, criticando in maniera recisa il procrastinarsi dell’occupazione illegittima della Crimea e deplorando l’interferenza russa sui social media attraverso la diffusione di fake news nelle “democrazie dalla stampa libera”.
Come giudicherebbe il passo di Mosca, poi, l’Arabia Saudita, nemico giurato dell’Iran, con cui attualmente il Cremlino sta negoziando proprio intese sul petrolio? Riad per adesso gongola, visto che soddisferà gli ingenti ordinativi di grezzo dirottati a causa delle sanzioni, ma la posizione russa assume un connotato ambiguo. Quanto ad Israele, le famiglie delle vittime del terrorismo finanziato dal Teheran stanno preparando una colossale class action per domandare che tutti i fondi iraniani che passino attraverso Instex vengano confiscati. Suscita ulteriori interrogativi, infine, il ruolo di un grande attore sinora rimasto silente: la Cina, interessata alla stabilità della regione in quanto firmataria del Patto sul nucleare.
L’Italia, per adesso, osserva la situazione a distanza di sicurezza, pur essendo uno dei principali partner commerciali europei della Repubblica Islamica. Il viceministro all’Economia, Massimo Garavaglia, in un’interrogazione alla Camera aveva chiarito che “le autorità italiane stanno valutando le caratteristiche di Instex e se e in quale misura aderirvi”.
Nel frattempo, Teheran non indugia visto che, come effetto della crisi economica che sta colpendo il paese dopo l’inasprimento delle sanzioni, ha riaffermato la decisione di avviare le prime attività di arricchimento dell’uranio oltre la soglia del 3,67 per cento prevista dal Patto del 2015. Gli iraniani, inoltre, vorrebbero usare Instex anche per agevolare l’esportazione di petrolio: l’unico vero modo per rilanciare l’economia, un escamotage che, secondo il governatore della Banca Centrale iraniana Abdol-Nasser Hemmati, consentirebbe di risolvere il problema dell’insufficienza di fondi. Cosa che sino ad oggi ha fatto dubitare dell’operatività del meccanismo.
Insomma, l’utilità economica della società veicolo è ancora tutta da valutare, alla luce delle sue dimensioni finanziarie ridotte e posto che vi siano imprese europee disposte a sfidare lo schermo delle sanzioni statunitensi per commerciare con un paese il cui volume degli affari è comparativamente più limitato. Tuttavia, non bisogna sottostimare il segnale politico dato con Instex e la congiunta determinazione dei tradizionali partner dell’Alleanza Atlantica a diluire la pressione americana verso l’Iran e a sfidare la tenuta dell’apparato sanzionatorio di Washington, accettando il rischio di possibili contromisure.