Poco si capirebbe, a mio avviso, delle accuse di “sessismo” rivolte da Maria Elena Boschi al vicepremier e ministro degli interni Matteo Salvini se si facesse astrazione (come qualche anima bella pure fa) dalla lotta interna al Pd per la leadership. Che quella battaglia, solo apparentemente acquietatasi con la nomina di Nicola Zingaretti a segretario del partito, sia in una fase di massima, lo dimostrano tanti piccoli episodi, a cominciare da quello che vede protagonista in Sicilia Davide Faraone (la cui elezione a segretario regionale è stata annullata, fra le proteste dei renziani, dalla Commissione di garanzia a livello nazionale).
Quanto all’ex premier, la sua dichiarata distanza dai fatti di partito, e soprattuto italiani, è molto relativa: la sua strategia è quella, da una parte, di far pesare la maggioranza dei suoi uomini nei gruppi parlamentari, dall’altra, quella di investire di un ruolo di primo piano l’unica persona di cui veramente si fida, e cioè appunto la Boschi. In questa strategia èd previsto che l’ex ministro delle Riforme si distanzi nella misura del possibile dalle scelte di Zingaretti e, dall’altra, si ponga in prima persona come l’anti-Salvini.
Ed è in questo contesto che si è posta, qualche giorno fa, la presa di distanza dalla posizione ufficiale della segreteria con la presentazione di una mozione di sfiducia al capo del Viminale (una richiesta che ancora oggi, in un’intervista al Corriere della sera, Renzi giudica sacrosanta). Salvini ha preferito rispondere via social, riprendendo la prima pagina di Libero con la foto della Boschi, ma non facendo menzione diretta a lei: “Ma questi hanno ancora il coraggio di parlare???”, ha scritto. Da qui, fra replica e controreplica piccate, una valanga di commenti di persone comuni le quali, come ormai avviene da anni da ambo le parti politiche (e non certo per colpa di Salvini) nel dibattito politico italiano, hanno riversato sulla Boschi in alcuni casi inqualificabili insulti personali.
La colpa di Salvini, secondo la Boschi, sarebbe stata di non averli cancellati e anzi, in qualche occasione, di aver messo anche la famosa “faccina sorridente” di approvazione. Da qui a tirare fuori l’asso dalla manica del “sessismo”, che è diventato una sorta di arma politica aggiuntiva e che quindi è molto usata a sinistra (in verità in maniera doppiopesistica), il passo è stato breve. L’impressione è che accuse di “sessismo” da un lato, improbabili richieste di censura dall’altro, incapacità di scindere il personale dal politico da entrambe le parti, siano le facce di una lotta politica senza quartiere. La destra e la sinistra italiane stanno cercando, più o meno consapevolmente, un equilibrio di sistema che non è dato di vedere e nemmeno ancora di immaginare.